Future

Future

Dicembre 7, 2019 2 Di Marta Cerù

Il mio viaggio di oggi nella Nuvola è cominciato in una bolla gonfiabile ed è annegato in un buco nero. Non si dovrebbe rivelare la fine in un incipit, e da un buco nero non esce nulla, nemmeno la luce di un racconto. Eppure cercherò di dare un senso al compito particolare che mi sono imposta oggi, mentre mi aggiravo in solitudine, persa da una sala all’altra, da un libro a troppi altri, con la sensazione di non riuscire ad arginare la dispersione.
Tutto annega, mi dice il cuore.
E se è così, se la fine è quella, se il futuro è già certo, posso orientarmi grazie alle coincidenze di un presente straripante di emozioni. Che non sempre sono una guida precisa, spesso ci ingannano, ci trascinano nei vicoli ciechi dei labirinti nei quali ci muoviamo. Ma vale comunque la pena di viverle, di riconoscerle, ascoltarle nel presente e lasciare che si trasformino nel Futuro.

Future è la parola di oggi, nel senso di Futuro, declinato all’inglese, l’ho acchiappata dal titolo di un libro, l’unico libro di cui vorrei scrivere stasera. L’ho incontrato appena arrivata a Plpl2019, nella Nuvola, dopo aver salutato, alla fermata di un tram, quei ragazzi e quelle ragazze che mi hanno incontrata sul loro cammino come insegnante e che rimarranno nel mio Futuro: i primi alunni e le prime alunne di quel primo giorno di scuola da docente. Avevo risposto al richiamo della Scuola. Stamattina ero con loro in visita al Museo Civico di Zoologia, per vivere l’esperienza di una proiezione intitolata “Dalla Terra all’Universo”. Si svolge nel luogo che supplisce al vero planetario, una struttura gonfiabile, una ‘brutta’ copia, ma pur sempre un tentativo riuscito di risolvere il problema della chiusura al pubblico dell’originale all’Eur, il vero planetario, rimasto intrappolato all’interno del Museo della Civiltà Romana. Il museo è chiuso da anni, problemi strutturali. In altri tempi e luoghi risolverli sarebbe stata una priorità, ma non qui, non a Roma, non per il senso di Futuro della nostra città. Ieri ci aveva guidati in questa esplorazione l’astrofisico Gianluca Masi. Le sue immagini saranno in mostra dal 6 Dicembre al 26 Gennaio in un nuovo allestimento dal titolo: “Carpe Siderea. La Meraviglia del Cielo sulla Bellezza di Roma”.

Giangiacomo Gandolfi, anche lui astrofisico, comunicatore scientifico, scrittore e narratore di storie, amico incontrato in quegli anni di formazione che non annegano e non si dimenticano, ci ha accolti invece stamattina alla proiezione sulla superficie interna della semisfera gonfiabile. Si entra da una fessura nel pallone, quasi un ritorno all’utero, e ci si ritrova seduti a guardare il cielo e le nuvole, prima ancora che le stelle e le galassie. La narrazione per immagini e parole arriva ad abbracciare la frontiera dell’universo, quella che possiamo osservare e immaginare attraverso le lenti dei telescopi e la tecnologia di ricerca e analisi sviluppata negli ultimi trent’anni. In questo excursus verso gli orizzonti più lontani, i buchi neri sono il tema che suscita più domande da parte del pubblico, soprattutto se si tratta di ragazzi e ragazze adolescenti. Cosa c’è dentro un buco nero? si chiedono. C’è qualcosa che può andare a velocità maggiore della luce? Non c’è punto fermo più chiaro di questo, che la velocità della luce sia un limite invalicabile. Eppure la tentazione di andate oltre esiste, per chi pensa con lo sguardo orientato al Futuro. O per chi si sente un alieno o un’aliena, e vorrebbe credere di poter incontrare qualche suo simile, fosse anche all’interno di un luogo dal quale non poter uscire.

Avevo nel cuore le domande degli studenti e non riuscivo a pensare ad altro percorrendo le vie dei coraggiosi piccoli e medi editori. Così sono arrivata a “Future. Il domani narrato dalle voci di oggi” (Effequ Editore), un’antologia di racconti curata dalla scrittrice Igiaba Scego, che definisce il progetto un moderno J’accuse, ma anche un “inno d’amore per un futuro che desideriamo diverso”. Lei è una scrittrice di romanzi tradotti in molte lingue ed è ricercatrice nel campo del colonialismo e post colonialismo. È nata a Roma, da genitori somali in fuga dal Regime dittatoriale di Siad Barre. È italiana eppure aliena in questa nazione immobile. È erede di quel movimento di scrittrici e scrittori che circa quindici anni fa erano in grande fermento e venivano definiti collettivamente ‘letteratura migrante’, quando case editrici piccole e medie davano spazio alla nuova fioritura letteraria. In quel passato che oggi sembra lontano “c’erano premi letterari dedicati, spazi di confronto (…). E in mezzo a questa fioritura migrante siamo capitati noi, figli e figlie di quella migrazione. (…) Erano anni difficili quelli in cui molti di noi sono diventati scrittori e scrittrici. E ogni anno ci rendevamo conto di quanto il Mediterraneo stesse diventando una tomba a cielo aperto, per chi migrava dal Sud del mondo e di come la Libia si stesse trasformando in un lager. Ma la letteratura era un mondo aperto. E in generale pensavamo (sì eravamo troppo ottimisti) che il futuro sarebbe stato più mescolato. (…) Ma tutto quello per cui abbiamo lottato non si è realizzato. La Bossi-Fini è ancora in piedi con il suo carico di dolore, il Mediterraneo è ancora una tomba e sulla riforma della cittadinanza siamo stati traditi. (…) Migranti e figli di migranti sono ponti naturali tra paesi e continenti. Ecco perché sarebbe sensato avere una società dove gli sguardi si incrociano, dove le narrazioni non sono a senso unico.
Ma l’Italia è immobile.
Ed è in questa immobilità che si inseriscono questi racconti che ci parlano di futuro, partendo, come già ricordato in precedenza, da un presente totalmente distopico”.

Ho trovato il libro dopo averne ascoltata la presentazione, presenti la curatrice Igiaba Scego e due delle autrici, Leila El Houssi, con il suo racconto “L’incanto della memoria” e Lucia Ghebreghiorghes, autrice di “Zeta”. Quest’ultima ha descritto le altre scrittrici più giovani come donne che hanno espresso una rabbia da osservare con rispetto e riverenza rivolti verso la loro urgenza. Un urgenza di esprimersi perché “c’è un Futuro già presente”. E la connotazione di questo presente non è certo positiva. Occorre una cura al virus del razzismo, più pervasivo ed evidente oggi che in passato.
Cosa succede quando un futuro è precluso?
Dove finisce la spinta, l’anima, la forza vitale, l’amore per la vita?
Ci si trova nudi e spogli, eppure si attende? E se si tende, a cosa?

Mi pongo queste domande e vedo mia madre in America, dall’altra parte dell’Oceano. È in visita a mio fratello, emigrato come tanti cervelli in fuga da questa Italia ferma. Come me un tempo, prima che tornassi, a quel tempo aveva senso farlo. Mia madre è di spalle e rastrella foglie da un prato, la fall agli inizi. Sono foglie secche e lei sembra felice di questo compito che si è data. Per quelle coincidenze che non lo sono del tutto, mentre la penso così trovo un suo messaggio sul cellulare. Scrive: “Ti regalo una parola importante: Onore. Mi frulla nel cervello senza sosta. Da questa parte del mondo si osserva come noi in Italia siamo condannati a essere un popolo senza onore. Nel senso del cantico:
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.”

Perché queste parole ora? Verso quale futuro tende questo richiamo al passato. Mia mamma ha insegnato per una vita intera e mi lancia oggi per caso le parole dal Cantico di San Francesco, parole all’origine dell’Italiano.
Che arrivano mentre ascolto donne italiane dalla pelle nera o bianca, dagli occhi di mille colori, che scrivono nel nostro italiano di oggi. Urlano la loro voce, perché arrivi oltre qualsiasi barriera, verso un futuro necessario, nel quale chi nasce in Italia possa essere cittadino italiano. La parola Coincidenza me la regala Simona Filippini, che ho incontrato non per caso, sia in questa vita che in fiera, una fotografa di volti dai mille colori. Una donna che lavora per abbattere muri, spaziali e temporali. Scrivevo di lei tempo fa grazie alla parola Contagiati che mi frullava in testa mentre abitavo la mostra “Taccuini romani. Vedute di Diego Angeli – Visioni di Simona Filippini”, al Museo di Roma in Trastevere.

Il senso delle coincidenze si rivela solo nel futuro. È a quel punto che le notiamo da una prospettiva distaccata e ne capiamo forse il motivo, grazie all’esperienza di aver attraversato il presente. Ma è solo un cambio di prospettiva, un tentativo di leggere nella casualità una causalità, dettato dal nostro desiderio. Così mi dice mio fratello fisico non perduto, in parole più chiare delle mie, per smontare la mia tendenza emotiva a leggere nelle coincidenze significati profondi, usando le lenti acquisite arrivando al futuro.

La mia scrittura si è persa in un labirinto, me ne rendo conto. È notte, ma non è una scusante, potrei rimandare, riscrivere, attendere. Ma l’urgenza c’è, il Desiderio che non ho la forza di contrastare. La parola Desiderio me l’ha donata sotto la nuvola tinta di rosso, l’amica scrittrice Marilena Votta, nel mio lessico ‘galassia di libri’ . L’ho incontrata in compagnia di Massimo Supino, che mi ha regalato la parola Particolare, come la loro trasmissione intitolata “Scusate se Leggo”, tutti i mercoledì in onda su RedHouse Radio. Le loro voci dialogano di libri, con scrittrici e scrittori, scherzando con precisa serietà.

La mia cronaca si interrompe qui, tentativo stentato di aggrapparmi alle parole, per fermare il tempo di un bellissimo concerto, organizzato da Roma Tre Orchestra, in un luogo che è stato la tipografia de Il Manifesto e ora è l’Interno Musica Sforza, casa di Laura e Jean. Loro ospitano concerti e hanno un piano d’eccezione, un Gran Coda Fazioli, stasera suonato dalle quattro mani del Duo Labor Limae, che ha eseguito la Quinta di Mahler adattata per pianoforte. Si trattava della prova generale del concerto previsto Domenica 8 Dicembre al Teatro Torlonia alle ore 11. Dalla fiera dei libri acchiappando parole, allo spazio di una tipografia che non c’è più, è quasi tutto stanotte: quel tutto che annega tra note fugaci e intangibili, eppure capaci di fermare il tempo, di far entrare il pensiero in un labirinto, creando quell’attimo di sospensione, dove perdersi e non ritrovarsi, come in un buco nero.