
Papille
Cosa succederebbe se una persona che usa la voce per lavoro, una persona che dipende dalla voce in qualsiasi ambito della sua vita, perdesse la facoltà di parlare? La domanda riecheggia tra il pubblico di Palazzo Merulana, un incipit quasi sussurrato dalla voce di Paolo Restuccia, seduto accanto all’autore Andrea Fassi, che presenta il suo primo romanzo, “Papille”, edito da Coda di Volpe, una delle case editrici dell’editore Danilo Butrini, presente in sala.

É un po’ la domanda delle domande, quel ‘what if’ che diventa la miccia di un buon racconto, di un romanzo che voglia definirsi tale. Cosa succederebbe se un giovane fortunato erede di una casa del gelato esprimesse un desiderio e lo consegnasse a un esserino giapponese colorando un occhietto di nero? È così che Andrea Fassi diversi anni fa ha cominciato a scrivere a puntate per la rivista della Scuola Genius, quello che oggi è diventato il suo primo romanzo pubblicato.
Ce lo racconta Luigi Annibaldi, editor e insegnante della scuola di scrittura nata nel Palazzo del Freddo, che aprendo la presentazione regala un Daruma all’autore, come ha fatto qualche anno fa, così che possa esprimere un nuovo desiderio di scrittura. Si tratta di un volto giapponese stilizzato, che al posto degli occhi ha due cerchi di colore bianco. Disegnando un pallino nero al posto di un occhio si esprime un desiderio. Il Daruma diventa quindi un mezzo testimone oculare del nostro cammino verso quel desiderio. Se il desiderio dovesse avverarsi, si potrà disegnare anche il secondo occhio. Così ha fatto Andrea Fassi con il suo primo Daruma, confida alla platea, al quale aveva affidato il desiderio di pubblicare un romanzo, lui nato fortunato erede di una famiglia di gelatai, capace di riconoscere in sé un’anima da scrittore.

Mi trovo con piacere ad ascoltare come si lavora nel regno della scrittura, come si cura la scrittura, a partire dalle prime parole, fino ad arrivare alla pubblicazione di un libro, in questo caso di un romanzo. Perché questa presentazione è in fondo una lezione delle persone che con la scrittura ci lavorano da sempre, che della scrittura hanno fatto il loro mestiere. Oggi anche Andrea Fassi, gelataio per destino, che ha saputo diversificare la sua impresa nel Palazzo del Freddo, collaborando a fondare al suo interno la Scuola Genius nata dalla visione di Paolo Restuccia e dei suoi compagni di avventure nella scrittura (Loredana Germani, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi, Alice Felci, Massimiliano Ciarrocca e Andrea Fassi). Regista radiofonico, autore, scrittore, insegnante, editor, The Genius ama definirsi persona non legata a nessuna delle mille cose che fa, né tantomeno definibile dal suo lavoro. “Siamo tutti tante cose”, dice, “ma nessuna delle cose che facciamo siamo noi”.

In sintesi, il nucleo di questa presentazione, e forse il nucleo di “Papille” romanzo, lo colgo in questa frase. Perché Papille è il nome del protagonista di questa storia, ma è anche il nome di quell’organo di senso che consente di avere il gusto, le papille gustative appunto. C’è una sovrapposizione tra nome comune di cosa e nome proprio di persona: il protagonista parte così nella storia come persona completamente sovrapposta a un solo organo del suo corpo. E questo organo lo perde, fin dalla seconda pagina, nell’incipit del romanzo. E lo perde subendo una vendetta. Si tratta di un critico gastronomico, una sua stroncatura ha fatto perdere una stella al suo antagonista chef stellato, il quale per vendicarsi gli offre un piatto che lo avvelena, bruciandogli la lingua e facendogli perdere il senso del gusto. Del resto, la spinta della vendetta parte da lontano. Perché Papille è stato un bambino bullizzato, che ha trovato nel senso del gusto la sua rivalsa.

Le parole che catturo fin dai primi paragrafi di questo libro, e della sua presentazione, sono sensorialità, vendetta, desiderio, scrittura. La prima me la regala l’autore nella dedica del libro, la seconda il presentatore Luigi Annibaldi, editor, insegnante di scrittura, a lui è affidato il compito di fare le domande scomode a coloro che in questa storia si prestano a raccontarsi. La terza viene dalla storia stessa, ogni storia degna di essere raccontata nasce in fondo da un desiderio, se non altro quello di chi si fa da tramite per raccontarla, l’ultima è il filo che viene passato di mano in mano dall’autore al lettore, per il tramite di vari editor ma soprattutto dell’editore che decide di scommettere in in libro. In questo caso l’editore è Danilo Bultrini che, a partire da Alter Ego (fondata a Viterbo assieme a Luca Verduchi) ha diversificato in tanti isolotti l’arcipelago formato dalle sue case editrici.

Tra le quali l’ultima si chiama Coda di Volpe: “La Coda di volpe (scientificamente Acalypha hispida) è una pianta sempreverde che deve il proprio nome ai fiori esotici che assomigliano a fili di ciniglia, lunghi e soffici, e che ricordano per l’appunto la coda di una volpe. Caratterizzata da un colore acceso e da una sofisticata bellezza, è in realtà una pianta grassa con delle parti velenose. La letteratura che vogliamo proporre, e di conseguenza la nostra idea di editoria, si ispira proprio alla Coda di volpe: bella da guardare (o, nel nostro caso, da leggere) e complicata da coltivare, “pericolosa da maneggiare”. Ed è proprio questa la sfida che, da editori, abbiamo deciso di raccogliere: scegliere le storie giuste, in un panorama sempre più complesso, e maneggiarle con cura per proporle ai lettori nella loro forma migliore”.

La storia di Papille riguarda un personaggio a cui viene tolto tutto, che sceglie la strada della vendetta e che su questa strada trova inaspettatamente una sua possibilità di riscatto. Perché la vendetta non è poi cosi da demonizzare, riflette con il suo consueto humor Paolo Restuccia. Basta vendicarsi senza fare male a nessuno! Che è poi un po’ il potere che ha in mano chi scrive. Sulla carta tutto è possibile. Ogni personaggio è lecito, ogni aspetto dell’essere umani è sondabile, auspicabile. Perché la storia sia degna di essere letta deve trattare di personaggi credibili, vivi sulla pagina, con tutte le possibilità di evoluzione e trasformazione che li caratterizzano in quanto esseri umani.

Non c’è gelato alla fine della presentazione. Ci sono gli ingredienti che formano un buon libro da leggere: il mondo delle cucine stellate, quello della critica reale e virtuale, il sistema del caporalato, il tema della vendetta e della redenzione. E ci sono le domande che aleggiano nel crepuscolo. La prima è la più bella. “Cosa hai imparato di te scrivendo questo libro?” E la risposta: “Il respiro di un romanzo”. Si perché un romanzo respira. Ha bisogno di un respiro ampio, a differenza di una storia a puntate come il romanzo di appendice, che è stata la prima stesura di Papille. La storia è nata infatti come un racconto a puntate per la rivista Dentro la Lampada, composto in 45 settimane, quanti sono oggi i capitoli del romanzo. Per trasformare quelle puntate settimanali nel libro che oggi possiamo comprare e leggere su carta, è stato necessario un lavoro capace di dare a quei capitoli veloci, scritti con l’impellenza della scadenza, il respiro necessario. E questa è stata la più importante lezione per l’autore stesso, che nell’esercizio della produzione di pagine ha scoperto la sua essenza di scrittore, ha imparato a respirare, nella scrittura come nella vita, con il ritmo che ci vuole.