Rassettare

Rassettare

Marzo 19, 2019 1 Di Marta Cerù

È possibile trovare la parola perfetta da accostare al proprio nome? Non lo so ma se dovessi scegliere, per il mio acchiapperei il verbo rassettare che un’amica scrittrice mi lancia una sera, inconsapevole forse del dono prezioso che mi ha fatto: “Ora devo rassettarmi”, mi scrive, riferendosi all’azione di sistemare le sue “interiora messe sottosopra”… Catturo la parola e mi viene in mente l’immagine di un manuale dal titolo “La ‘Marta’ moderna” di Alda Cassola (Edizioni La Scuola). Non l’ho mai potuto sfogliare, purtroppo, chissà quali benefici ne avrei tratto se lo avessi letto in questa vita, nei miei anni formativi! O forse no, meglio così, non averlo avuto tra le mani a condizionarmi più di quanto la vita stessa non abbia provveduto a fare. Si tratta di un manuale per imparare a essere una brava domestica, come veniva chiamata nel Nord Italia la perfetta donna di casa, la Marta appunto. Del libro ho solo la copertina incorniciata, regalo di due amici conosciuti a New York, lui italiano dalle origini fiorentino milanesi, lei americana di Washington, entrambi artisti, Lorenzo e Danielle, o Danielle e Lorenzo. Sono stati i primi amici nella Grande Mela, loro era l’appartamento da dove sono partita per esplorare New York nel settembre del 1998. Me lo avevano affittato per un mese mentre erano in vacanza in Italia. Non mi conoscevano ma avevamo un’amica in comune, in quell’era pre social e pre gradi di separazione: Valentina era stata il grado che ci aveva messo in contatto e uniti da allora e per sempre, almeno fino a oggi. Mi ero sentita a casa, in quel nido di due artisti che non conoscevo, circondata dalle loro opere.

C’erano i quadri di Danielle appesi alle pareti, grandi pitture a olio e a tempera, raffiguranti ritratti ispirati da foto d’epoca in bianco e nero, in uno stile che riproduceva le espressioni e le situazioni dello scatto in posa, trasformandole in un fermo immagine da cinematografo d’altri tempi. Danielle Berlin Gori-Montanelli è una pittrice, creatrice di gioielli, che allora realizzava in metallo e oggi disegna e cuce utilizzando un materiale più ecologico, il feltro. Non finisce mai di stupirmi con le sue opere multicolori.

Il piccolo loft era pieno delle foto e degli oggetti di Lorenzo Gori-Montanelli, un fotografo che usava i suoi scatti metropolitani per creare gadget inusuali: i poggia bicchieri con le immagini dei vari tombini grigi dal design geometrico e il marchio NYC; i magneti a forma di tazze da caffè in cartone con la scritta “We are happy to serve you”; le magliette con le foto dei graffiti che trovava sulle impalcature di legno, messaggi che solo l’occhio attento di un newyorkese doc poteva cogliere.

Non solo questo mi aveva fatto sentire a casa in quel nido di arte. C’era anche il fatto che l’appartamento era situato in Fulton Street, proprio sotto le torri gemelle, a due passi dal South Seaport, e davanti alla più grande libreria dell’usato che avessi mai incontrato: Strand Bookstore, un gigantesco magazzino pieno di scaffalature, quasi un labirinto in perfetto stile ‘Biblioteca di Babele’. Ogni mattina potevo rifugiarmi tra i corridoi e i ripiani, prima di farmi coraggio e partire a esplorare la città in compagnia della mia solitudine. Sfogliavo libri che avrei o non avrei scelto come bottino da riportare in Italia. Dopo il mese concordato, avevo dovuto lasciare l’appartamento per trasferirmi a casa di Angela, una cugina acquisita, che mi aveva offerto ospitalità nella Upper East Side. Avevo traslocato in tutt’altra zona ma ero tornata a conoscere dal vivo gli amici dei quali ero stata ospite. Da allora il legame intrecciato ha resistito alle prove del tempo, sia negli anni in cui eravamo nella stessa Grande Mela, sia quando loro si sono trasferiti in Italia, a Firenze, e anche io sono rimpatriata, decidendo di vivere in Umbria. Una delle volte che sono venuti a trovarmi, mi hanno regalato la foto incorniciata del manuale fatto apposta per la ‘Marta’ generica e ‘moderna’. E appena l’ho visto ho ripensato al mio amico Vincenzo, conosciuto a fisica, che ogni volta che mi incrociava mi diceva: “Marta Marta perché ti affanni, non vedi tua sorella Maria”?

Io ridevo tra me e me perché lui non sapeva ancora che avevo davvero una sorella Maria, capace più di me di non lasciarsi affannare dalle faccende materne o domestiche. Io ero la primogenita, lei seconda e dopo di noi tre fratelli maschi. Più o meno verso i dodici anni il mio soprannome è diventato “mamma Marta”, in linea con il fatto che le Marte tendono a investirsi o essere investite del compito di assettare o rassettare, secondo il Vangelo di Luca: “Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio; e una donna, di nome Marta, lo ospitò in casa sua. Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola. Ma Marta, tutta presa dalle faccende domestiche, venne e disse: «Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta»”.

Rimuginando sul senso del verbo rassettare nella mia vita ho ripreso in mano “I Promessi Sposi” e riletto il capitolo in cui Manzoni scrive: “Tocca a noi a aver giudizio per i giovani, e a rassettar le loro malefatte. Per buona sorte, siamo ancora a tempo; la cosa non ha fatto chiasso; è ancora il caso d’un buon principiis obsta. Allontanare il fuoco dalla paglia. Alle volte un soggetto che, in un luogo, non fa bene, o che può esser causa di qualche inconveniente, riesce a maraviglia in un altro. Vostra paternità saprà ben trovare la nicchia conveniente a questo religioso. C’è giusto anche l’altra circostanza, che possa esser caduto in sospetto di chi… potrebbe desiderare che fosse rimosso: e, collocandolo in qualche posto un po’ lontanetto, facciamo un viaggio e due servizi; tutto s’accomoda da sé, o per dir meglio, non c’è nulla di guasto”. L’autore mette queste parole in bocca al Conte zio di Don Rodrigo, che apparecchia un banchetto e un discorso per convincere il Padre provinciale, superiore di Fra’ Cristoforo, a mandarlo via dalla sua parrocchia, così da evitare che Don Rodrigo agisca contro colui che apertamente vuole proteggere Lucia dalle sue mire. E il verbo rassettare è usato in modo manipolatorio per perpetrare un sopruso, mascherandolo da azione saggia, volta a sistemare una situazione complicata, causata da animi giovani in preda alle loro intemperanze. Il significato associato al ruolo di chi nella casa mette in ordine e offre una sponda per mediare e calmare gli spiriti bollenti, è completamente ribaltato, perché l’azione dei due potenti non farà altro che complicare la vita alle due povere anime innocenti di Renzo e Lucia, ostacolando più di quanto già non fosse contrastata la loro unione.
Forse per questo la parola rassettare mi crea una resistenza? O forse perchê l’associo al compito di essere la donna di casa, che sistema, che ordina, che si presta al ruolo materno troppo presto? Una cosa è certa, fa parte del mio vissuto, per via del mio nome o del ruolo che più mi è famigliare. E da un po’ di tempo mi sto riappropriando, in modo consapevole, di una capacità tutta femminile che non riguarda solo mettere ordine, sistemare o catalogare, ma rappresenta l’azione di calmare gli animi, riuscendo a creare ponti tra punti di vista diversi, grazie anche all’abbraccio, all’accoglienza e alla mediazione.

Un po’ quello che sta realizzando la giovanissima Greta Thunberg, la ragazzina che rifiuta di andare a scuola per intraprendere il suo sciopero in difesa dell’ambiente, colei che in poco tempo è riuscita a indirizzare l’attenzione di giovani di ogni colore verso un compito che ci riguarda tutti, quello di rassettare la casa in cui viviamo, il pianeta che a tutt’oggi rimane l’unico, nell’Universo come lo conosciamo, ad aver creato le condizioni possibili perché la vita si evolvesse. Mentre Greta viene indicata da tre legislatori norvegesi come candidata a ricevere il Premio Nobel per la Pace 2019 ed è tra i 25 “Young Role Models” più influenti del 2018 secondo la rivista Time, in tutto il mondo cresce la partecipazione alle manifestazioni giovanili al richiamo di #Fridaysforfuture.

A Roma mi sono trovata tra gli slogan di tantissimi studenti, in età prescolare, scolare e universitaria, uniti per incitare chi ci governa a darsi da fare per riordinare e sistemare gli effetti della specie umana sul clima del nostro pianeta.

Greta, come mia figlia e tante sue coetanee, la vedo come una ragazzina guerriera che lotta per salvare il pianta e ‘rassettar le malefatte’ delle generazioni di noi adulti che l’abbiamo preceduta e che continuiamo a discutere delle cause dei cambiamenti climatici, anziché spendere il poco tempo che ci resta per trovare strategie e cambiare abitudini e tendenze, rispetto all’uso delle risorse e all’immissione di sostanze inquinanti e destabilizzanti per l’equilibrio sempre più instabile degli ecosistemi sul pianeta Terra.

Le donne hanno da sempre avuto il compito della cura. E non a caso sempre più donne si impegnano e si espongono per rassettare la casa di tutti, il pianeta che ci ospita. È una missione che la specie umana deve ‘accollarsi’, per garantire alle generazioni future la possibilità di esistere. La vita è in bilico adesso perché siamo nel pieno della Sesta Estinzione, quella che sta avvenendo sotto i nostri occhi e che il paleontologo Niles Eldredge ha raccontato qualche decennio fa nel sul libro “Life in the balance” (Princeton University Press). La varietà delle specie esistenti nel nostro pianeta, la biodiversità, è in crisi, così come il clima è influenzato in modo irreversibile dalla nostra presenza sul pianeta. E se i governi di tutto il mondo non si impegnano qui e ora a sostenere azioni importanti per salvaguardare il pianeta, da qui a pochi decenni non ci sarà più tempo per ordinare, per rassettare, per contrastare una serie di fattori che stanno mettendo a rischio la nostra sopravvivenza come specie umana e quella di tantissime altre specie animali e vegetali.

Nella giornata internazionale della donna, nelle stesse settimane in cui le manifestazioni convogliano l’attenzione di tutti il tema dei cambiamenti climatici, alla Casa Internazionale delle donne di Roma si svolgeva la Fiera dell’editoria delle donne in Italia, “Feminism”. Vandana Shiva, invitata a partecipare e a parlare di agricoltura libera da veleni, ha scritto una lettera alla prima cittadina di Roma: “Gentile Sindaca di Roma Virginia Raggi, in occasione del mio intervento per l’inaugurazione di «Feminism», la Fiera dell’editoria delle donne in Italia, presso la Casa Internazionale delle Donne, sono stata messa a conoscenza del fatto che questo luogo sta per chiudere e che la concessione dello stabile di Trastevere è stata revocata dal Comune di Roma. Nel corso di poche centinaia di anni il dominio del capitalismo patriarcale e l’attuale paradigma agricolo e industriale di tipo estrattivo basato sullo sfruttamento a senso unico delle risorse e delle ricchezze dalla natura, hanno portato il nostro pianeta sull’orlo del collasso. Il recente rapporto sul clima del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) ci ha avvisato che tra soli dodici anni potremmo aver già raggiunto la crescita della temperatura che l’Accordo di Parigi aveva ipotizzato per il 2100 e che è necessario agire ora, o ci troveremo ad affrontare una vera e propria catastrofe climatica. La nostra sicurezza alimentare e la nostra sopravvivenza si basano sulla conservazione della biodiversità, che è minacciata da quella che gli scienziati definiscono «la sesta estinzione di massa». L’ascesa dell’1%, vale a dire una minoranza di uomini estremamente facoltosi e avidi, in procinto di controllare fino a due terzi della ricchezza mondiale entro il 2030, è caratterizzata da un attacco nei confronti di tutte quelle culture e conoscenze basate sulla condivisione e sul prendersi cura, incluse le economie circolari e solidali basate sulla conservazione delle risorse. Nella storia le donne sono state relegate a fare il lavoro che era considerato irrilevante. Andare in guerra e uccidere era considerato importante. Fare profitti a spese degli altri era considerato importante. In realtà, le donne sono state lasciate a fare le cose reali: fornire l’acqua, fornire il cibo, e prendersi cura della famiglia. I valori di cui abbiamo bisogno sono i valori legati alla conoscenza di come vivere con la natura. Abbiamo bisogno di conoscenza su come prendersi cura. Abbiamo bisogno di conoscenza su come si condivide. Questo è il sapere delle donne, le capacità di cui avremo sempre più bisogno in futuro. O sarà permesso alle donne di mostrare la via o non avremo nessun futuro. Per questo chiedo alla Sindaca Raggi non solo di proteggere ma di amplificare il ruolo della Casa Internazionale delle Donne. Che diventi un laboratorio per le economie, le conoscenze e le comunità del futuro, dove i giovani, specialmente le giovani donne, possano trovare gli strumenti per costruire economie locali vibranti di vita. L’orto di questa Casa diventi il luogo dove possa rivolgersi chiunque voglia imparare a coltivare il proprio cibo, locale, fresco, biologico e libero da veleni. Questo luogo dovrebbe diventare l’Università del Futuro e non dovrebbe venire chiuso. Specialmente a ridosso di questo 8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, questo è l’impegno che la sindaca dovrebbe prendere per il futuro di Roma e del nostro pianeta”.

Anche per questo ho portato con me in marcia la scienziata e filosofa indiana che da sempre milita contro la distruzione dell’ambiente e delle società indigene, portando avanti il movimento ecofemminista. Vandana Shiva è una donna votata all’attività di ‘rassettare gli animi’ e ritornare a strategie che privilegino la diversità in tutti i campi. Uno dei suoi libri, “Monocolture della mente” (Bollati Boringhieri), è una raccolta di cinque saggi in difesa della biodiversità, delle culture locali, dei saperi indigeni ‘scomparsi’, contro l’approccio riduzionista in agricoltura e non solo. È un piccolo manuale scientifico che punta il dito sui problemi derivati dalla rivoluzione verde in agricoltura, dallo sviluppo delle biotecnologie, dall’impatto delle monocolture sugli ecosistemi locali. Lo fa con amore per le risorse, per le differenze, per l’altro da noi, per il piccolo, per il debole e per le minoranze, da un punto di vista che mette al centro l’importanza del ruolo delle donne nella società, capaci di creare vita, di prendersi cura come solo una donna, di rassettare la casa di tutti gli esseri viventi e gli animi di ognuno.