Bianco

Bianco

Dicembre 1, 2019 0 Di Marta Cerù

Ieri leggevo una poesia di Pierluigi Cappello intitolata Bianco, dalla raccolta Un prato in pendio per BurRizzoli e riferita alla neve e oggi mi sveglio in un’alba che sa di bianco latte della nebbia densa d’autunno. Il quadro della mia finestra incornicia una tela ancora da dipingere, per ora color grigio scialbato nel bianco, non candore ma incertezza, dubbio ma non oscurità.
Solo i rami bucano il primo piano, ancora avvolti di aria densa eppure inafferrabile, della quale sentono l’abbraccio ma non il calore.
Tutto è silenzio, non più grilli, né rane, né fringuelli, passeri o lucciole o insetti al lavoro, solo fermezza priva di parole, incanto privo di note. La penna è lenta nel rispondere al pensiero offuscato. Un russare canino accompagna lo scricchiolio del pennino sul foglio, che ha lo stesso colore del cielo, nella penombra di una casa abitata dal mio respiro solo.

Bianco (di Pierluigi Cappello)
Da lontano vengono agli occhi il cielo
e le mani, da qualche parte lontana di te;
fuori nevica, sei tutto nel bianco della neve
ogni segno nel candore una ferita
e la campagna di la dai vetri è un corpo
un breve sguardo che si fa pronuncia
calore d’alito, la testa in mezzo alla veglia;

torna là nella parola tradotta in silenzio
dove si annidano i passeri
i palmi sugli occhi, il petto sulle ginocchia
la fronte nella neve. (Febbraio 2003)

Novembre è arrivato e trascorso, con la fretta del bisogno di riposo, eppure c’è ancora tanto di cui occuparsi nel silenzio dei campi pronti a dormire…
Mi ha portato in dono i risvegli all’alba e lo zaino in spalla per andare a scuola. Un ritorno al passato, per mano una me del presente, alla quale insegnare come insegnare. Non lo so, mi dico in preda al dubbio, eppure entro in classe e dimentico di esistere. Sono nelle formule alla lavagna, nel trovare prospettive nuove per descrivere un’onda, una retta pendente, un polinomio o una corrente indotta. Sono nella risoluzione di un esercizio, nel leggerlo, nel capirlo, nel volto illuminato di chi lo capisce con me o senza di me. Ascolto le voci dei miei maestri e rispondo a quelle di ragazzi e ragazze che possono conoscerli attraverso la mia. Trovo nuovi maestri negli sguardi che non hanno età, che veloci colgono il senso del loro e del mio futuro.
Il tempo è davvero circolare, come lo rappresentavano i Maya nei loro calendari? Mi chiedo, pensando che non avrei mai immaginato di tornare tra i banchi di scuola a provare le emozioni del primo giorno, del secondo, del terzo, del quarto… La vita ci spinge avanti e indietro per consentirci di tendere senza dubbi al presente, mi rispondo.

Solo qualche settimana fa ero a Bookcity nella città del Duomo. E da un luogo all’altro di una Milano vetrina di editori e libri, ho visitato la Triennale di Milano dove era allestita una mostra sulla poesia (fino al 15 Dicembre), dal titolo “La poesia è di tutti”.

Come si mette la poesia in mostra? Me lo sono chiesta mentre salivo scalini diventati pagine per versi. Arrivata sul pianerottolo non ho avuto risposta. Così sono entrata in una stanza dove erano esposte le immagini delle prime pagine dedicate ai poeti, tratte dal settimanale La Lettura, che ha allestito la mostra assieme alla Fondazione Corriere della Sera. Ma ancora non capivo.

Allora ho cercato risposte nei volti in bianco e nero dei poeti fotografati da Carlo Bavagnoli, uno dei pochi fotografi, non statunitensi, ad aver fatto parte in pianta stabile del team di Life, lo storico magazine americano di attualità. Ho incontrato i volti della poesia italiana del Novecento, tra le loro carte, nelle loro biblioteche, immersi nelle loro parole. Ma non ho avuto risposte da loro. Ho partecipato a un gioco. Aveva a che fare con il bianco di un foglio, un libro piccolo da riempire di poesie, riprodotte in rilievo sulla superficie di timbri, pronti da pressare nell’inchiostro e poi sulla carta. Ma timbrare fogli non mi ha aiutata a capire.

Poi, tra tanti volti incorniciati, ho trovato il suo. Il viso inconfondibile di un cuore che fa sobbalzare il mio, attraverso parole scelte per costruire poesia. Mi sono commossa inseguendo lo sguardo di Pierluigi Cappello, che da una foto guardava oltre, ed era lì a farmi compagnia, ormai non più di questo mondo. L’ho conosciuto tardi in questa vita, quando ho letto per la prima volta i suoi versi solo un paio di anni fa. Eppure lo sento presente, come un amico in viaggio che prima o poi raggiungerò, o che ho lasciato da poco, forse. Se scrivessi poesie vorrei che fossero note per accompagnare i suoi molteplici temi. Se sapessi scegliere parole con la cura dei suoi versi, vorrei usarle perché creino risonanze, forme vere, sentimenti reali. Come la parola bianco, o la parola nuvole, un colore, un nome comune di cosa, il sentimento di uno che diventa sentimento di tutti.

Nuvole (di Pierluigi Cappello)
(Non sono solo nuvole le nuvole
che nuvola più nuvola più nuvola
fanno disfanno nel cielo figure
di maghi di draghi o serpi o sirene
ma sillaba più sillaba con cura
staccano voci musiche serene
queste che fra parentesi ho posate
sulla prora di nuvole d’estate)


Provo a volte a scrivere versi, nel tentativo di creare connessioni, dare forma al sentimento:

Parole sconnesse (di Marta Cerù)
Sillabe abbaiano alla luce che avanza
per scoprire la notte
e lasciare nudo il giorno,
perché il sole nascente
lo vesta dei suoi raggi,
morbida stoffa di lino.
Traspira vapore
la terra di collina,
nuvole si innalzano dal verde,
specchio di un cielo che si va schiarendo.
E per un attimo
il bianco latte del vapor acqueo
nasconde l’orizzonte
consentendo la certezza di un presente
che non dipenda dal passato
e non speri nel futuro.

“Un prato in pendio. Tutte le poesie 1992-2017”, (BUR Rizzoli), è una collezione di pillole per l’anima: una per ogni colore, insieme formano una tavolozza sulla quale riconoscere tutte le sfumature delle nostre emozioni. E ogni volta che la mia anima si rannuvola torno tra queste pagine, trovo una prospettiva per muovermi nella foschia, prendo in mano la penna, il foglio, e come inseguendo un maestro che non c’è più ma è vivo in me, attraverso due poesie che spazzano via ogni nuvola.

Un foglio (di Pierluigi Cappello)
Questo foglio. Battuto per tre quarti
dalla luce. Nella sua luce cresca
l’incerto zampettìo delle parole.

La carta (di Pierluigi Cappello)
Resta la carta mentre mi dileguo
specchio di me ma che non è me stesso
rimedio oppure tedio quando inseguo
trame di me scrivendomi e m’inseguo