Undo

Undo

Settembre 16, 2020 1 Di Marta Cerù

Chi di noi non si è trovato almeno una volta a cliccare per errore il tasto cancella vedendo sparire in un attimo un intero paragrafo appena scritto? La sensazione è di sconforto, o almeno lo era, fino a che non abbiamo scoperto la magia del comando UNDO. Basta eseguirlo e il paragrafo cancellato riappare, la parola che avevamo perso, l’intero scritto o tratto di disegno, come se niente fosse, l’errore commesso annullato, dimenticato, andiamo avanti felici.

Per me e per la mia formazione questo processo è ogni volta un brivido, non avviene automaticamente, non sono nata nell’era digitale, con la pagina scritta dovevo fare la brutta copia e poi la bella e se in bella sbagliavo qualcosa occorreva ricominciare tutto da capo. Quindi, ancora oggi, quando mi capita, ho un attimo di panico, non mi viene automatico pensare alla magia dell’UNDO.

Tempo fa parlavo con qualcuno che riportava questo meccanismo in un discorso generazionale e di comportamento collettivo. Chi è nato e cresciuto nel digitale, ha introiettato il comando UNDO e ha un modo di porsi rispetto alle azioni diverso da chi non ha avuto questa esperienza fin dalle prime esperienze di relazione con le cose e il mondo che ci circonda. Per queste persone l’errore può essere annullato da un semplice gesto, da un comando, che riporta tutto allo stato di quando l’errore non era stato commesso.

Sarà per questo, mi dico in questi giorni di ripresa dell’anno scolastico, che vedere come si è ripartiti per aprire le scuole, mi sembra surreale? L’unica giustificazione per chi ha costruito il meccanismo della ripartenza è che siano persone nate e cresciute nel digitale, per le quali basta cliccare UNDO per cancellare i propri errori. E lo fanno, del tutto inconsapevoli delle conseguenze e dei danni che il loro operato avrà su chi si trova a subirlo…

Faccio un passo indietro e una premessa. Sono una neofita del mondo scuola. E mi sento alquanto Pixelata, come descrivevo mesi fa all’inizio della DAD (Didattica A Distanza). Non sono appena uscita dall’università, non sono giovanissima voglio dire, ma, nonostante fossi qualificata a insegnare fisica e matematica nei licei, ogni volta che provavo a perseguire la strada dell’insegnamento, mi capitavano circostanze e opportunità che mi distoglievano da quel percorso. La ricerca, la vita all’estero, la costruzione di una famiglia, i figli piccoli, i trasferimenti da un continente all’altro, la malattia, le opportunità di tipo imprenditoriale autonomo, e così via… Fino a qualche anno fa, quando, figli ormai grandi, il mio bisogno di restituire qualcosa rispetto agli studi intrapresi e continuati per anni, mi ha portata a iscrivermi nelle graduatorie di terza fascia. E questo a una prima supplenza annuale, da Novembre 2019: ovvero la scoperta di un mondo, quello della scuola, molto diverso da come l’avevo immaginato e temuto. Così, il mio primo anno da supplente in un noto Liceo di Roma ha coinciso con l’inizio della pandemia e il lockdown dovuto al Covid 19

Mi aspettavo, all’inizio dell’anno, di cominciare un cammino da precaria, di sondare le mie capacità, le mie motivazioni, imparare, restituire, arrivare a finire l’anno e poi valutare se continuare un percorso da precaria a vita, dato il sistema di reclutamento italiano, e i tanti precari con punteggi ben più alti del mio, in attesa di cattedre che non arrivano mai. Non avevo messo in conto cosa mi avrebbe dato l’instaurarsi di relazioni importanti, la costruzione di rapporti di fiducia, tra colleghi, con gli studenti, l’affetto, la stima, la condivisione di un percorso in cui tutti si va avanti, si fanno errori, si corregge il tiro, si impara dagli errori, si capisce quali strategie funzionano, quali no, tra le infinite possibilità di relazionarsi a ogni studente, si trova quella giusta, e se si sbaglia si cerca di aggiustare il tiro. Conquistare la fiducia di una classe richiede impegno, dedizione, fa parte del lavoro di insegnante. È un processo complesso, difficile, e basta poco per comprometterlo. Ma quando succede, quando l’insegnamento passa attraverso questa costruzione, in entrambi i versi, non esistono ostacoli all’apprendimento. E l’insegnante è davvero a servizio del ruolo, essendo anch’esso un soggetto nell’atto di apprendere.

Dunque, la pandemia dicevo. Le scuole chiudono. Ci ritroviamo, tutti, sbalzati nella DAD, la didattica a distanza. E cominciamo a imparare, in emergenza, a costruire, a fare errori, correggerli, trovare nuovi modi di tenere l’attenzione, di perderla, di capire se siamo capiti, se non lo siamo, se stiamo perdendo qualcuno, e se questo qualcuno si stia perdendo davvero o si stia solo nascondendo dietro le difficoltà tecniche per sottrarsi a un impegno. Che poi, in ogni caso, la perdita è assicurata, il risultato non cambia, purtroppo.

Tra alti e bassi, lavorando giorno e notte, siamo arrivati a giugno, fine dell’anno, con la domanda per tutti uguale: cosa succederà? 

E io una speranza l’avevo di poter continuare un percorso in qualche senso interrotto, di poter tornare a rivedere i visi di chi avevo salutato il 4 marzo, pensando di ritrovarli la mattina dopo. Mi dicevo, faranno di tutto per non perdere quello che si è imparato in questi mesi. Faranno di tutto per garantire una continuità a chi si è impegnato giorno e notte a mantenere il filo della didattica, in un verso e nell’altro, studenti e insegnanti insieme a imparare come andare avanti. Ma non è stato così. A contratto finito la prima comunicazione è stata: perderai la email che ti è stata assegnata, quella scolastica, e con essa tutto quello che hai costruito, salvato, programmato, sulla piattaforma digitale dove hai operato in questi mesi, Google Suite. Quindi provvedi a salvare quello che non vuoi vada perso. Ora, da fisica, abituata a backup di programmi, avevo già salvato sul mio computer tutto quello che era stato il lavoro di un anno, con quattro classi e quattro programmi diversi, sia di fisica che di matematica (la mia classe di concorso è la A027-MATEMATICA E FISICA). Ma, sempre grazie a Google Suite for Education, avevo creato un canale YouTube, o almeno, incautamente l’avevo aperto come insegnante di quella scuola, con l’indirizzo assegnatomi, pensando che sarebbe stato utile, condivisibile, almeno in quella scuola, avrei potuto passarlo a chi mi avesse sostituito. E su quel canale avevo perso notti a salvare le registrazioni di una serie di videoconferenze con scienziati che avevano aderito alla richiesta di venire a raccontare ai ragazzi e alle ragazze cosa si fa da fisici, da matematici, da scienziati, oggi, come si diramano le vite di chi decide di dedicarsi alla scienza. Ecco, quel lavoro è andato perso. La scuola non l’ha salvato. E non c’è comando UNDO che funzioni per recuperarlo.

D’altra parte, che importanza ha, mi sono detta, se dall’alto del Ministero dell’Istruzione, proveranno a mantenere comunque una continuità con un anno scolastico che in molti casi è stato troncato a marzo, per poi riprendere, sì, certo, ma con modalità diverse, tutte da imparare, mettere in campo, e quando appena cominciavi a lavorare sul serio, ecco che l’anno finiva nell’incertezza di come sarebbe ricominciato. Mi dicevo: troveranno un algoritmo per mantenere gli insegnanti al loro posto, almeno per questa ripresa, per un anno sì nuovo, ma difficilmente scindibile da quei mesi che lo hanno preceduto, l’anno della pandemia, che non è finita, che ci costringe a convivere e trovare strategie di scuola nuove, ma non a cancellare tutto quello che abbiamo imparato, con quella presunzione di ricorrere al comando UNDO se ce ne sarà bisogno.

Oggi, a pochi giorni dalla riapertura delle scuole, credo che la macchina di persone che hanno progettato la ripartenza sia una macchina abituata fin dalla nascita a usare la strategia dell’UNDO.

Manteniamo le graduatorie esistenti, per un anno in più, aprendo la possibilità di iscriversi ai nuovi arrivati?

No, si ricomincia tutto da capo, è stato deciso. Si cancella tutto. Se poi qualcosa va perso, che importa? Ricorreremo all’UNDO, come abbiamo sempre fatto… E così sono ripartite iscrizioni a nuove graduatorie, le GPS (GRADUATORIE PROVINCIALI SCOLASTICHE). Sono state aperte, chiuse, con criteri nuovi, alcuni vecchi, chi è dentro chi è fuori…

E per le supplenze in corso, quelle che duravano fino a fine anno scolastico? Le riconfermiamo, nei limiti del possibile, a meno che non si tratti di posti dove ritorna il docente di ruolo (parlo di tutte le supplenze, annuali o frammentate che fossero)?

No, non sia mai, ripeschiamo dalle nuove graduatorie, azzeriamo tutto, con un sistema nuovo, che quello vecchio, di quando ti arrivava la mail e potevi o non potevi presentarti nella tal scuola per il tal posto, e se eri primo entravi in classe, ed era fatta. Quel sistema non va più bene, anche se il motivo non è chiaro (confesso che non ho studiato le motivazioni di tutto questo cambiamento). Nel nuovo sistema, un qualche algoritmo, pubblica ogni giorno le convocazioni sul sito dell’Ufficio Scolastico Regionale (USR), con calendari che hanno dell’assurdo, suddivisi per classi di concorso, punteggi, scuole dove andare a ricevere le assegnazioni, che non sono le scuole dove si finirà, ma delle scuole polo, mi sembra di capire, dove avviene la selezione dei posti.

Nel frattempo le scuole sono ripartite, a orario ridotto, chi è di ruolo è oberato di lavoro, per sostituire magari i posti ancora vacanti, e chi non c’è non arriverà per un bel po’… Io continuo a sperare che in questo rimescolamento, per uno strano gioco dell’UNDO, possa tornare a essere chiamata proprio lì, nella classe che mi aspetta, a rivedere, presenti e vivaci, quei volti che ho salutato da uno schermo, a riprendere un discorso che non era finito, era appena cominciato, imparando dagli errori, passo dopo passo. Ho provato a scrivere alla Dirigente, optando per la cosiddetta MAD (Messa a Disposizione). Nessuna risposta. Mi rendo conto che ci vorrebbe un miracolo, o uno strano gioco delle tre carte che favorisce chi gioca e non chi lo dirige da perfetto azzeccagarbugli. Così aspetto, guardando ogni giorno il sito della regione, mentre so che la cattedra che coprivo è scoperta, so che il docente che sostituivo è fuori per tre anni, ha preso un congedo per fare un dottorato in fisica. Quindi, a rigor di logica, era possibile mantenere la continuità per tre anni, in qualche universo che non è il nostro. Io sono arrivata a Novembre, il titolare aveva appena preso congedo. E allora, mi dico, perché non lasciarmi lì, a sostituirlo fino al suo ritorno?

E quanti casi come il mio ci sono, quanti studenti abbandonati, in attesa di sapere chi saranno i loro insegnati?

Lo chiedo retoricamente, perché so che sono tanti. E che il meccanismo dell’UNDO non li ha tenuti in considerazione. Mi scrive uno di loro: “Spero di poterla rivedere presto in questo nefasto anno scolastico”. E io gli rispondo: “La speranza ci accomuna. E la parola nefasto non ha scampo contro chi spera!” Ma faccio fatica a crederci sul serio. Perché una cosa è la speranza, una cosa sono le azioni. E io mi sento impotente e rassegnata quando mi confronto con i criteri del nostro Ministero dell’Istruzione.

In piena pandemia, con le scuole da adattare al distanziamento, il sistema digitale da rinforzare, le infrastrutture scolastiche da sempre indietro e carenti, da portare al passo con i tempi che viviamo e con i problemi che abbiamo dovuto affrontare e in parte risolvere in questi mesi, si è scelto di investire nella burocrazia, nel meccanismo di nuove graduatorie, nuovi sistemi di assegnazioni, algoritmi a servizio del piazzamento dei docenti precari, o di quelli anche di ruolo ma senza una cattedra assegnata. Gli studenti possono aspettare. Forse nell’attesa impareranno ad autoistruirsi. E allora il Ministero dell’Istruzione potrà finalmente disfarsi anche dei docenti, e tagliare le spese anche così.