Chiodini

Chiodini

Novembre 13, 2020 0 Di Marta Cerù

Passeggiavo nel bosco, come cerco di fare ogni giorno in questo novembre, che fa da contrappunto alla primavera trascorsa in lockdown, e lo sguardo è caduto su un tronco attorno al quale sono cresciuti funghi dalla corolla piatta, quasi appoggiata alla superficie legnosa, grandi e piccoli, un disegno di assembramento che a noi umani non è più consentito. Li guardavo e cercavo di capire cosa avessero di speciale per attirare così la mia attenzione. L’ho capito quando un amico poeta mi ha lanciato il loro nome: chiodini. Erano spuntati come per incanto dalla rete miceliare del sottosuolo, trovando il luogo perfetto dove esplodere nella loro bellezza? O forse come piccoli chiodi puntellavano qualcosa, un centro, un attrattore imprescindibile? 

Funghi chiodini

In questi giorni la parola chiodini risuona nella mia testa, mentre leggo il libro del biologo Merlin Sheldrake, uno scienziato scrittore, che mi sta accompagnando in questi tempi di caduta delle foglie e ricaduta nell’isolamento che il contagio ci impone. Lui studia i funghi, ne parla, ne scrive, li vive, li assorbe e li descrive nel suo “Entangled Life”, con la conoscenza dello scienziato e il talento del narratore.

Non potevo che incontrarlo di questi tempi, il suo libro. È periodo di raccolta. C’è traffico di passi e voci nei boschi. Ci si muove con cautela. E con rispetto, per non calpestare, non rompere le reti sottili che i funghi creano attraverso le loro spore. Anche io guardo in basso, ma fatico a vedere, a distinguere. E alla fine trovo quello che rimane, spesso più il veleno che la medicina. Il bosco si svuota, il grigiore avanza, mi perdo come succede quando si cerca un mondo perduto. Però ho un appiglio, ed è questo autore, una guida attraverso il regno dei funghi, delle reti miceliari, delle ife, delle spore. La sua penna ha l’intenzione di andare oltre l’antropomorfizzazione, seppure per me che leggo è un’impresa ardua abbandonare le strutture di pensiero che ci caratterizzano nel regno degli umani. Merlin Sheldrake è un biologo e un divulgatore che mi riporta alle letture di Edward Wilson e le sue formiche. Il regno di Merlin sono i funghi e lo descrive in un trattato che si legge come un romanzo, il cui titolo in italiano non rende il profondo significato del titolo inglese, “Entangled life. How fungi make our wolrd, change our minds, shape our future”, tradotto come L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi”, Marsilio Editore.

Il suo libro racconta l’oggetto della sua ricerca da biologo, il regno dei funghi. È un racconto di quello che si trova nel sottobosco, ma non solo. È un microscopio puntato sulle diramazioni della vita, dai domini, ai regni, ai phylum, fino alle famiglie e alle specie. La voce è dello scienziato, che spiega l’oggetto della sua ricerca. Lo fa calando una lente dall’alto, dal generale al particolare per poi tornare al generale, consapevole dell’influenza che la sua lente, la sua storia di scienziato e di essere umano, avrà su quello che osserva, che studia e che interpreta. Per farlo si serve di metafore, un po’ come in poesia. In qualche modo la presentazione che fa del mondo dei funghi che andrà a descrivere non è molto dissimile da quello che si potrebbe dire delle particelle in meccanica quantistica e alcuni concetti richiamano almeno metaforicamente l’entanglement, fenomeno quantistico di correlazione istantanea tra le caratteristiche di alcune particelle anche molto distanti tra loro. Nell’introduzione si legge (e questo è il vero senso del saggio che ha del romanzesco): “Continuo a chiedermi se, vista la nostra totale dipendenza dai funghi – come rigeneratori, riciclatori e tessitori di reti che uniscono insieme più mondi – danziamo al ritmo della loro melodia più spesso di quanto ci rendiamo conto”.

Ma quanto sappiamo, oggi, di questo regno che popola ovunque il pianeta? Ben poco, e fare luce sulla ricerca agli albori della vita è la missione di questo giovane scienziato e del suo volersi raccontare attraverso l’oggetto dei suoi studi. A proposito di un convegno di biologi alle prese con le conoscenze moderne della biodiversità, ovvero delle innumerevoli forme di vita sulla terra, Sheldrake scrive: “Parlare di individui non aveva più senso. La biologia – lo studio degli organismi viventi – si era trasformata in ecologia, lo studio delle relazioni tra gli organismi viventi. Ma a peggiorare la situazione c’era il fatto che ne sapevamo ben poco. Moltissimi dei grafici sulle popolazioni di microbi proiettati al convegno riportavano la scritta ‘sconosciuta’. Mi ha ricordato il modo in cui i fisici moderni descrivono l’universo: più del novantacinque per cento è ‘materia oscura’ ed ‘energia oscura’. La materia e l’energia sono oscure perché non ne sappiamo nulla. Nel caso degli argomenti di quel congresso, si trattava di materia biologica oscura, o vita oscura”.

E ancora: “I funghi vivono in un groviglio di mondi; innumerevoli fili ci guidano attraverso questi labirinti. Ne ho seguiti il più possibile, ma ci sono fessure in cui non sono riuscito a intrufolarmi, per quanto ci abbia provato. I funghi sono vicini a noi, eppure sono sconcertanti, le loro possibilità altre. Dovrebbero spaventarci a morte? Noi esseri umani, con i nostri cervelli e corpi animali, con il nostro linguaggio, possiamo imparare a comprendere questi organismi così diversi da noi? E quanto ci sentiremo cambiati alla fine del percorso? In uno slancio di ottimismo, ho immaginato questo libro come un ritratto di un ramo negletto dell’albero della vita, ma la questione è in realtà più complessa. È un resoconto sia del mio percorso verso la conoscenza delle vite dei funghi, sia dell’impronta che questi hanno lasciato su di me e su molti altri che ho incontrato lungo la strada, siano essi umani o no. Il poeta Robert Bringhurst scrive: ‘Cosa farò della notte e del giorno? Di questa vita e di questa morte? Ogni passo, ogni respiro rotola come un uovo verso il limite di questa domanda’. Anche i funghi ci spingono verso il limite di molte domande. Questo libro nasce dalla mia esperienza, dall’aver sbirciato al di là di alcuni di questi limiti. (…) ‘Noi’ siamo ecosistemi che travalicano i confini e trascendono le categorie. Il nostro io emerge da un complesso groviglio di relazioni che solo ora cominciano ad affiorare”.

Sono dentro il suo racconto come in un bosco vivo. E, come sempre, le parole scritte risuonano più armoniche in me dell’esperienza che ho del bosco che circonda la casa dove abito. Lo guardo da lontano il bosco, da una finestra non sempre uguale. Mi sposto in continuazione in questo inizio di autunno. Ferma all’interno del confine dei boschi, non trovo l’apertura giusta, la prospettiva vera. Mi sento persa. Ho perso il filo delle mie frasi, parte di un discorso e di una storia che non ha più in sé l’accudimento, la responsabilità di esistere per gli altri, ma percepisce ben altro peso, quello dell’esistenza a prescindere. E lo distribuisce, in questi giorni, nelle reti miceliari, appuntandolo come un chiodo o un chiodino sul tronco ospite.  Sono qui, attorniata dal silenzio delle parole scritte. Ed ecco che i chiodini assembrati attorno a un tronco in un modo forse solo apparentemente casuale, mi fanno sorridere e riflettere sulla mia ricerca con questo blog, in ritardo con i tempi, sempre un passo indietro anche a me stessa. Il blog è la mia tela sulla quale attaccare bottoni, la mia rete miceliare, non c’è un’intelligenza nel mio procedere, non un cervello, non un piano dall’alto o una strategia a priori. Le mie parole sono ife che esplorano, si perdono, si ramificano, ife che arrivano dove non avrei mai immaginato, pur essendoci passata già tante volte. Si intersecano, si fondono, si separano, si allontanano dall’obiettivo che sembrava reale ma era frutto di una lente distorta, di una miopia di significato. E affinano, corrono, scorrono. 

Scrive Sheldrake: “Le ife possiedono due strategie fondamentali per creare una rete miceliare: prima si ramificano, poi si fondono (questo processo di fusione si chiama ‘anastomosi’, da un termine greco che significa ‘sbocco’). Senza la ramificazione, una sola ifa non potrebbe diventare molte ife. E senza la fusione, le ife non potrebbero formare reticoli complessi. Prima di fondersi, però, le ife hanno bisogno di trovarne altre con cui farlo: per riuscirci, si attirano a vicenda attraverso un fenomeno chiamato homing.”

E forse nessuno mai, né io, né i pochi lettori di questo mio progetto nato da una visione avuta durante Plpl2018, capiranno quando, come, dove, e quale senso emergerà. Ma che importanza avrà se nel frattempo avrò scampato per pochi minuti di ritardo il treno che mi avrebbe investita? La corda lenta e scorrevole pronta ad accogliere il mio collo bianco e teso? Il liquido, troppo eppure giusto per dormire oltre il sonno? Che importanza avrà se nel frattempo sarò arrivata a casa e la mia casa sarà condivisa, sarà fusa nel pianeta, sarà avvolta dalle nuvole della nostra atmosfera, come quella che cercano le ife attirandosi a vicenda?