Suites

Suites

Novembre 29, 2020 1 Di Marta Cerù

Ho conosciuto Paolo Andriotti qualche anno fa e da lui ho acchiappato la parola Suites. D’altra parte era inevitabile, visto che è un violoncellista di grande talento e un insegnante che ha numerosi allievi tra le sue fila. Mi era stato raccomandato perché volevo tornare a ricercare un suono con lo strumento che amo più di ogni altro e già dalla prima lezione ho capito che gli sarei rimasta incollata come a un maestro.  “Ho un progetto che riguarda le Suites di Bach, un percorso di ascolto basato sulla ricerca insita nella natura umana”, mi ha detto una volta. Tra una lezione e l’altra ho capito quanto approfondita fosse la sua conoscenza delle Sei Suite di Bach per violoncello solo. E quanto la sua personale esecuzione, frutto di anni di studio e ricerca su questo grandissimo capolavoro, avesse da trasmettere. 

Da quando le ho ascoltate la prima volta, avevo forse vent’anni, mi sono innamorata delle Suites. Avevo incontrato il violoncello come strumento solista più o meno a quell’età, un po’ tardi purtroppo per provare a ricavarne un bel suono, con tutte le mie rigidità. Però mi ci ero incaponita, spinta da un sentimento verso l’abbraccio che lo strumento mi restituiva, in un periodo nel quale ne avevo bisogno. Così, da principiante alle presa con la ricerca di suono, ho ascoltato la prima Suite, il famoso preludio, e ne sono rimasta incantata. Da allora ho provato a prendere lezioni, a imparare i rudimenti e a cercare il bel suono senza risultati apprezzabili. D’altra parte il mio obiettivo di allora era laurearmi in Fisica, poi era scrivere di scienza, poi scrivere e basta. La musica era una passione da praticare in solitudine, o da condividere in fase di ascolto, non certo di esecuzione. Una forma di meditazione, direi oggi, solitaria o condivisa. Grazie alla musica ho ampliato i miei orizzonti, un po’ come succede a tutti. E le Suites sono diventate un accompagnamento onnipresente nella mia ricerca come scrivente. Come se l’universo dalle molte direzioni in cui mi immergevano, e continuano a immergermi, potesse aiutarmi a trovare quella via che mi avrebbe portato al timbro giusto nella ricerca da scrivente, che ha più a che fare con sillabe e parole che non con note.

Anni fa, a New York, trovai quasi per caso, nella gigantesca libreria dell’usato Strand, un libro intitolato: “The Cello Suites: J. S. Bach, Pablo Casals, and the Search for a Baroque Masterpiece”. L’autore è Eric Siblin, un critico musicale, esperto di musica rock, che si era imbattuto per caso nell’universo classico di Bach. E ne era rimasto catturato, soprattutto riguardo alle Suites, al punto da cimentarsi in un’esplorazione approfondita di quel capolavoro, una ricerca storica, musicale, che lo aveva portato a scrivere il libro che avevo trovato.  Il volume esiste anche nell’edizione italiana, per Il Saggiatore: “Le Suites per violoncello. Da Johann Sebastian Bach a Pablo Casals: storia e misteri di un capolavoro barocco”.

Così l’autore descrive il suo impatto con l’ascolto delle Suites: “Ciò che proveniva da quelle cavità sonore era la musica più terrestre ed estatica che avessi mai ascoltata. Lasciai vagare la mente. Che effetto aveva potuto suscitare quella musica nel 1720? Era facile immaginare il violoncello messo alla prova davanti a una compagnia aristocratica, intento a sedurre parrucche incipriate. Ma, se la loro musica è così affascinante, perché le Suites per violoncello erano rimaste inascoltate fino alla scoperta di Casals? Per circa due secoli dalla composizione di questo capolavoro baritonale, soltanto una cerchia ristretta di musicisti professionisti e studiosi di Bach aveva saputo dell’esistenza di questa musica epica e coloro che la conoscevano l’avevano considerata più un esercizio tecnico che qualcosa di adatto alle sale da concerto”.

E ancora lo scrittore dispiega con questi paragrafi introduttivi il contenuto del suo libro, che è il racconto della sua personale ricerca nell’universo delle Suites: “La storia delle sei Suites non è soltanto una questione musicale. La politica ha sempre plasmato la musica, dal militarismo prussiano del diciottesimo secolo al patriottismo tedesco che incentivò la fama di Bach cent’anni dopo. Quando le dittature europee governavano nel ventesimo secolo, le note del violoncello antifascista di Casals divennero altrettante pallottole. Qualche decennio più tardi, Mstislav Rostropovič eseguì le Suites per violoncello sullo sfondo del muro di Berlino ridotto in macerie. Casals rese questa musica un’attrazione di massa – ciò accadde molto dopo la scoperta della partitura da parte sua – e poi il cammino delle Suites non si fermò più. Ora ci sono in catalogo più di cinquanta registrazioni e oltre settantacinque edizioni pratiche per violoncello. Altri strumentisti si sono cimentati in trascrizioni per il loro strumento: flauto, pianoforte, chitarra, tromba, tuba, sassofono, banjo, e molti altri strumenti hanno affrontato la partitura con un successo sorprendente. Però, per i violoncellisti le sei Suites sono presto diventate l’alfa e l’omega, un rito di passaggio, l’Everest del loro repertorio. (Oppure il monte Fuji: nel 2007 il violoncellista italiano Mario Brunello vi è salito, a quasi 3750 metri sul livello del mare, e ha suonato brani scelti dalle Suites, dichiarando: ‘La musica di Bach si avvicina più di ogni altra alla perfezione e all’assoluto’)” .

Anche Paolo Andriotti è tra i violoncellisti che hanno affrontato l’impresa di scalare il capolavoro di Johann Sebastian Bach. Gli anni di studi e approfondimenti, non solo a livello musicale e di ricerca come esecutore, ma anche a livello interiore, culturale, intellettuale, lo hanno portato a concepire un progetto che sovrappone tre personaggi al suo ‘racconto esecutivo’ delle Suites: l’autore Johann Sebastian Bach, Leonardo Da Vinci e il contemporaneo Patrizio Paoletti. Suonando il suo violoncello, Andriotti unisce mondi solo apparentemente diversi, e attraverso la musica convoglia il messaggio che li accomuna fuori dalle cerchie ristrette di pochi estimatori. La ricerca prende spunto dal disegno di Leonardo intitolato Uomo Vitruviano, da quell’immagine in cui, oltre alle direzioni, c’è un’analisi precisa delle proporzioni del corpo umano. Scrive lo stesso Leonardo, nelle righe che si trovano sulla parte alta del foglio, conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia: “Vetruvio architetto mette nella sua opera d’architettura che lle misure dell’homo sono della natura disstribuite in quessto modo. Cioè, che 4 diti fa un palmo e 4 palmi fa un piè; 6 palmi fa un cubito, 4 cubiti fa un homo, e 4 cubiti fa un passo, e 24 palmi fa un homo; e cqueste misura son ne’ sua edifizi. Se ttu apri tanto le gambe che ttu chali da chapo 1/14 di tua alteza, e apri e alza tanto li bracci che colli lunghi diti tu tochi la linia della sommità del chapo, sappi che ’l cientro delle stremita delle aperte membra fia il bellicho. E llo spatio che ssi truova infra lle gambe fia triangolo equilatero”.

Questo disegno rimane uno dei simboli del Rinascimento, un corpo umano inscritto in un cerchio e in un quadrato. Non è una sua invenzione, perché la storia dell’immagine risale all’antica Roma, e al teorico di architettura Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. circa – 20 a.C. circa). Nel suo trattato, “De Architectura“, Vitruvio scriveva: “senza simmetria e senza proporzione non può esistere alcun tempio che sia dotato di una buona composizione, e lo stesso vale per l’esatta armonia delle membra di un uomo ben proporzionato”.

Patrizio Paoletti, si definisce uomo di pace e mentore. Per descrivere la natura umana, ha elaborato un “Modello Sferico della Coscienza” (MSC), secondo il quale si individuano tre dimensioni dell’esperienza per ogni essere umano: il sé minimo, il sé narrativo e la pre-esistenza. Quest’ultima è al centro della sfera che rappresenta la coscienza umana. Il modello è il risultato di anni di ricerche e collaborazioni, nell’ambito delle scienze cognitivo comportamentali, delle neuroscienze, della pedagogia e di tecniche meditative basate sulla ricerca del silenzio. Attorno a lui esiste una comunità internazionale di persone che mettono le loro risorse a servizio di un progetto comune, quello di tendere ognuno alla parte migliore di sé, e così facendo promulgare modelli di cooperazione, educazione e convivenza pacifica. 

Paoletti racconta in una delle sue innumerevoli video lezioni, che l’evoluzione di ogni essere umano è caratterizzata da sei direzioni: “La nostra vita è spinta da tre forze, attive, passive e neutre, che, associate al percorso dell’essere umano, generano sei direzioni: passato e futuro, forza e debolezza, alto e basso. Le sei direzioni permettono di definire otto campi in relazione fra di loro, come gli affetti, la famiglia, il lavoro, le finanze, l’amicizia e la collettività, il corpo, e lo spirito o meglio l’aspirazione. La comprensione del nostro esistere come esseri centrali a questa relazione ottuplice, ci permette di comprendere qual è il senso o l’obiettivo del nostro esistere: dare correttamente energia ad ognuna di queste parti. Per trasformare l’esperienza da parziale in totale. E quindi definirci o poterci definire, uomini sferici.  Un uomo sferico è in grado di avere equidistanza dalle parti, definendo così se stesso non come colui che subisce la condizione ma colui che genera la condizione. Passare da creatura a co creatore, da colui che subisce a colui che usa se stesso per l’insieme, a colui che passa dall’io al noi, considerando nel noi l’altro da noi, cioè tutto. Il mio muovermi è la mia capacità di determinare la mia storia, facendo sì che la mia vita, il mio agire sia sempre positivo, in ognuno degli otto campi che mi definiscono”. Da questa premessa descrittiva, Paoletti ha sviluppato il Modello Sferico della Coscienza (sulla rivista Logica Universalis si può trovare un articolo che ne approfondisce le caratteristiche, basate su un trentennio di ricerca, come anche un altro recente articolo per approfondire è pubblicato su Frontiers in Psichology).

Questo è il contesto in cui Andriotti inserisce le sei Suites di Bach, che contengono ciascuna sei movimenti, cominciando con un preludio e terminando con una giga. In mezzo ci sono antiche danze di corte – un’allemanda, una corrente e una sarabanda – dopo le quali Bach ha inserito una danza più ‘moderna’, tipo un minuetto, una bourrée o una gavotta. Non esiste uno scritto del percorso di esecuzione e di ascolto ideato dal maestro violoncellista. L’unico modo di fare esperienza delle sue scoperte è ascoltarlo in una delle occasioni preziose nelle quali esegue l’opera integrale, in due concerti, uno al tramonto e uno all’alba, come per esempio è avvenuto a Roma, grazie al Teatro Villa Pamphilj a Giugno 2018 e Giugno 2019. Purtroppo la pandemia ha impedito la terza replica prevista lo scorso giugno 2020.

Prima di suonare ognuna delle Suites, Andriotti offre degli spunti come guida all’ascolto. Lo fa con parole scelte, che descrivono una storia universale, ma soprattutto accompagnano l’ascolto della sua personale esecuzione di un capolavoro, che si presta a mediare tra noi e l’universo di cui facciamo parte. Il suo progetto, l’esecuzione integrale delle Suites dal tramonto all’alba, è un viaggio, quello intorno e dentro l’essere umano, che ci porta a immergerci in noi stessi alla ricerca di un centro. L’ordine delle Suites non è quello canonico, ma ha una direzione precisa, scandita dalla luce del sole. La prima parte del concerto, quella che avviene al calar del sole, muove dall’esterno all’interno, e le Suites n. 4, n. 2 e n. 5, conducono il pubblico in profondità, verso la notte. La seconda parte, che completa l’esecuzione integrale, mentre il sole si innalza all’orizzonte, segue il cammino che va dall’interno all’esterno, verso un’ascesa quindi, la n. 1, la n. 3 e la n. 6, fra tutte la più trascendente, accompagna gli ascoltatori ad affrontare la luce del giorno. Gli spunti che offre Andriotti sono per ogni Suite una domanda, che lui stesso si pone, condividendo con il pubblico la ricerca di risposta attraverso l’esperienza compositiva di Bach.

Ho un mondo interiore? È la domanda che precede la Suite n. 4 in Mib maggiore, introducendo gli ascoltatori alla possibilità di guardarsi dentro e conoscersi.

Cosa ci ha insegnato la nostra storia? È un interrogativo rivolto al passato, nel quale immergerci ascoltando la Suite n. 2 in Re minore. Il timbro è preciso, lascia percepire il peso del passato, in un gioco di echi, di evoluzioni e brusche frenate o al contrario accelerazioni improvvise, che si fanno metafora delle cause esterne che modellano la storia.

Chi sono io? È la domanda associata alla Suite n. 5 in Do minore, che ci spinge a scavare nel nostro io più profondo, in un’esperienza che ha del mistico. Perché ascoltandola ci si sente trasportati in una dimensione meditativa dalla quale rinunciare a qualsiasi attaccamento e sentirsi parte della musica. I toni profondi e le vibrazioni antiche sembrano partire dal ventre, da chi scegliamo come genitori. Le circolarità dei movimenti richiamano alle continue domande legate ai perché dei bambini. E ci guidano alla ricerca del silenzio, percependo il quale la nostra esistenza diventa un distinguersi dal mondo, pur restandone parte indissolubile. Non esiste una risposta unica, anche se l’unica risposta si può trovare nel riconoscere che la vita è un tessuto fatto di legami, ovvero le relazioni attraverso le quali nulla è disunito. Non siamo e allora siamo. Giungeremo alla saggezza? La quinta Suite sembra offrire uno spiraglio nella danza finale che è uno squarcio di luce, una pace recuperata e gioiosa, ovvero la gioia che si prova nella pacificazione dei sensi! 

Il sole ormai tramontato, dopo aver ascoltato la prima parte del concerto di Andriotti, ci si addormenta nello stato di risonanza delle domande esistenziali di ognuno di noi. Per poi svegliarsi all’alba e addentrarsi nelle risposte, grazie all’esperienza dell’ascolto della seconda metà del concerto.

Quale futuro desidero? Con questa domanda la Suite n. 1 in Sol maggiore ci accompagna nella ricerca del futuro da desiderare per noi stessi e per gli altri, quel futuro che anela alla pace, alla gioia a prescindere.

Qual è il mio personale contributo al mondo? È la domanda associata alla Suite n. 3 in Do maggiore, ma anche la dichiarazione di esserci, presenti, con il proprio valore, riconosciuto e vero. La forza della tonalità maggiore, risponde alla giornata che acquista vigore, ha l’attacco assertivo, il botta e risposta del confronto con l’altro, la creatività, l’abbraccio, il gioco di una spirale ascensionale che torna alla base con fierezza.

Esiste altro da noi? È l’interrogativo di ognuno che risuona nella Suite n. 6 in Re maggiore, il Preludio che rimanda agli echi di campane a festa. La tensione è verso l’alto, l’altissimo, ci conduce verso coloro che nel passato hanno tracciato la strada, i modelli in tutti i campi che hanno creato valore e conoscenza, i costruttori di pace, capaci di superare i loro limiti rimanendo al centro di sé. Perché è lì il segreto, come nella musica di Bach, nel disegno di Leonardo, nel Modello Sferico della Coscienza di Paoletti , e nell’esperienza di ascolto proposta da Andriotti: è nel centro che il limite sparisce, si perde, proprio lì, nel nostro centro, ognuno il proprio, si annida la presenza del divino, la tensione alla perfezione che diventa leggerezza. Il percorso delle Suites si chiude in una marcia, metafora di pienezza, completezza, anche se quello che rimane per chi ascolta sono le domande più che le risposte. 

E non è questo lo scopo di ogni artista? Quello di spingerci all’interrogativo? Più che all’esclamativo! Paolo Andriotti non propone ricette con la sua esecuzione. È così per ogni musicista che suoni dal vivo, non poter mai ripetere lo stesso evento, la stessa interpretazione, le stesse note allo stesso modo. Ma ancora più lo è per l’esecuzione proposta da Andriotti, il suo sogno realizzato di guidare all’ascolto di un’opera integrale così somma, attraverso la sua esecuzione, sfruttando la cornice del tempo che scorre, dal tramonto all’alba. Mai un tramonto sarà ripetibile, mai un’alba la stessa, mai l’inclinazione dei raggi avrà lo stesso effetto sulle corde messe in vibrazione dall’arco di Andriotti, che si affida all’attimo irripetibile e ce lo regala memorabile, come un’esperienza di noi attraverso la musica di Bach, da lui incarnata e interpretata.

Ascoltare Paolo Andriotti suonare il suo violoncello non è solo un’esperienza di musica dal vivo, è anche entrare in relazione con qualcosa che passa attraverso la musica e ci mette in contatto con la parte di noi che non è disgiunta da ciò che ci circonda e della quale spesso ci dimentichiamo, accentuando divisioni e contrasti, internamente ed esternamente al nostro essere. In genere la musica dovrebbe avere questo scopo. Creare relazioni, stimolare ricordi, associazioni, emozioni, memorie. In quanti casi è così? Chiunque si sfidi in un campo, eccellendo, dedicando ogni particella delle proprie risorse al servizio dello studio in quel campo, sarà in grado di diventare un canale attraverso il quale l’insegnamento ricevuto, la teoria originale elaborata, potrà arrivare a tante più persone, viaggiare ed entrare in risonanza con la ricerca di altri. Nel caso di questo violoncellista davvero bravo e originale, mi sento di dire che succede, almeno per me è successo. E, a giudicare dall’atmosfera che si respira dopo il suo concerto integrale, dopo aver vissuto quell’esperienza di condivisione musicale delle Suites dal tramonto all’alba, assieme ad altri ascoltatori, la sua dote è riuscirci con chiunque si voglia mettere in ascolto.