Sconfinata

Sconfinata

Dicembre 15, 2020 0 Di Marta Cerù

Esiste una realtà priva dei confini della lingua nella quale la si esprime? È una domanda che rimanda alla torre di Babele, all’inevitabilità dell’incomprensione tra culture diverse, lingue diverse. Eppure, nonostante la lingua porti in sé il duplice aspetto della comunicazione e della continua necessità di traduzione, nonostante sia allo stesso tempo un ponte per attraversare un confine e la linea dello stesso confine, esistono esempi di scrittura sconfinata, quella che si fonda sul presupposto di poter unire molte voci, provenienti da molte culture, mettendo in atto esperimenti collettivi. La scrittura collettiva è un po’ come la musica d’insieme, dall’ensemble all’orchestra. Le lingue sono diverse, come tanti strumenti, ma l’intento è cercare armonia, far sconfinare una storia  oltre il limite di una sola cultura. 

Nella Nuvola di Fuksas, ai tempi di Plpl2019, ho incontrato la parola sconfinata durante la presentazione del libro “Le molte vite di Magdalena Valdez” di Joana Karda, Besa Editrice. Le scrittrici di questa storia sono quattro donne che da tempo esercitano la scrittura collettiva: l’artista lettone Lolita Jaskin (Timofeeva), bolognese di adozione e autrice di racconti, nonché creatrice di opere d’arte che fondono la materia alle parole; la triestina Claudia Mitri, laurea in lingua e letteratura russa, traduttrice, scrittrice e ideatrice dei laboratori di scrittura “Tessendo Trame”, rivolti a gruppi di persone coinvolte nei problemi di disagio mentale; l’italiana emigrata in Francia Vanessa Piccoli, dottorato di ricerca in linguistica, ricercatrice all’università di Lione, dove studia la comunicazione fra migranti e personale del mondo sanitario francese; infine Laila Wadia, di origine indiana ma adozione triestina, si definisce una narrastorie ed è traduttrice-interprete, lettrice di madrelingua inglese all’Università di Trieste e scrittrice di romanzi, come “Amiche per la pelle”, Edizioni E/O, diventato anche un film diretto da Gigi Raccati.

La storia al plurale di queste quattro scrittrici sconfinate non poteva essere che quella di una donna, dal nome emblematico di Maddalena, la femminilità per definizione, che migra tra paesi e culture diverse. Nell’arco della sua vita, che si svolge come tra picchi e valli di una sinusoide, Maddalena perde strati di sé, si asciuga, arriva al nucleo di un’essenza femminile rappresentata dal troncarsi del suo nome in Maddalè e, alla fine della storia, nel solo Mad, che poi in inglese significa ‘pazza’. I luoghi di questa storia cambiano, rispecchiano le culture delle scrittrici che li hanno abitati. Maddalena nasce in India, dove attraversa un’infanzia felice, poi succede qualcosa di terribile (il libro potrebbe essere un giallo ma non solo) e lei si ritrova a Mosca, dove si istruisce, sembra innalzare il suo stato, ma, con il crollo della Russia durante la Perestroika crolla anche lei. Scappa e finisce a Roma, altro vertice di felicità e poi altra caduta, che coincide con il crollo italiano nel periodo di Tangentopoli. Infine Trieste, una città dalla cultura post basagliana, dove la protagonista diventa un giocattolo rotto, una pazza appunto? Una vittima di una realtà molto più grande e potente di lei, che la disintegra, la spoglia di ogni identità propria sciogliendola come una palla di neve al sole.

Lo sviluppo del personaggio, la sua parabola spazio-temporale si evolve attraversando una serie di funzioni femminili. Quella dell’accudimento prima di tutto, e finché quel ruolo è centrale la sua vita regge, ma il crollo avviene proprio con la consapevolezza che ci sia un’identità oltre alla propria funzione nel mondo. Questa presa di coscienza è il nocciolo di un conflitto che riguarda ogni donna, quello tra la propria essenza e la propria funzione: di figlia, di madre, di moglie, di amante, di oggetto o di soggetto funzionale.

La fortuna di incontrare le scrittrici di questo libro, all’interno della Nuvola, mi ha permesso di ascoltare dalle loro diverse voci, il segreto del loro sforzo sconfinato. “Abbiamo voluto fondere le parole delle donne”, hanno raccontato, “anche quelle di persone provenienti da paesi diversi. E questo obiettivo ha comportato un processo di stralcio, di critica costruttiva che ci permettesse di costruire e togliere insieme”. D’altra parte, chiunque abbia provato a scrivere a quattro, a sei, a otto, o a più mani, sa bene quanto sforzo ci voglia, quanto ascolto, di sé stessi e degli altri, perché l’esperimento non si trasformi in una guerra civile. Nel caso delle autrici, che si fanno chiamare Joana Karda, e si definiscono il primo collettivo in Italia di scrittura meticcia femminile, la ricetta del loro successo sta nei quattro ingredienti sotto forma di parole, che hanno lanciato a chi come me le ha ascoltate raccontarsi: pazienza, tenacia, accoglienza e rinuncia. Maddalena è tutte noi donne e ognuna di noi, nella prossimità delle nostre storie e nella loro diversità. È questo il messaggio della parola sconfinata, applicata a un nome di donna che si scioglie come neve al sole. Un nome che la scrittura collettiva abbrevia, tronca, spezzetta, perché trasmetta a chi legge una possibilità di superare ogni confine, come quando l’intero si frammenta nelle parti, ognuna intera, nel tutto che compone.