StraVagante – Sipario

StraVagante – Sipario

Settembre 12, 2021 1 Di Marta Cerù

Cala il sipario sulla quarta e ultima giornata del Festival StraVagante romano. Che proseguirà in treno e in bicicletta, su due rotaie e su due ruote, per raggiungere Spello e Arcevia, prossime tappe del viaggio teatrale tra due mari attraverso l’Appennino. Qui a Roma, al Teatro Villa Pamphilj, oltre il sipario c’è la fine dello spettacolo, the end, tutti a casa. Oppure no? Cosa c’è oltre il sipario per il pubblico che torna a casa? Cosa resta di quel mondo forse solo sognato, immaginato, di quelle creature alate incontrate in un bosco, di quegli esseri vivi, parlanti, così veri che anche un bambino li tocca con mano? Rimane vivo il mondo oltre il sipario? O scompare la creatura-senza-nome, sconfitta da un folletto burlone e distratto, grazie all’aiuto del re dai tre becchi? 

Trebecchi è uno dei protagonisti dello spettacolo “Creature alate”, di Andrea Calabretta (coproduzione Teatro Verde I Guardiani dell’oca), che si sviluppa in un itinerario e in quattro tappe, tra i cespugli e gli alberi di Villa Pamphilj. È una favola di folletti dedicata ai bambini, i cui personaggi sono vestiti con i bellissimi costumi creati da Santuzza Calì. Oggi le repliche sono state due, una la mattina e una il pomeriggio. Scopro che a fine luglio, per il Festival internazionale degli Gnomi, le repliche sono arrivate a essere cinque nella stessa sera. Dopo lo spettacolo ho chiesto a Trebecchi quale fosse la sua parola. E lui me ne ha regalate due più un articolo, formando quasi una frase, uno spunto, uno di quei luoghi dove arrovellare il pensiero per il resto del giorno: oltre il sipario. 

Cosa c’è oltre il sipario? In quale stato sarà il mondo oltre il sipario, nel momento in cui si alzerà, per la prossima tappa del Festival su un nuovo paesaggio? E a sipario chiuso, in quell’oltre che è il palco con dietro le quinte, quanti mondi possibili convivono indisturbati? Uno, infiniti? Nessuno? Scompare tutto, oltre il sipario? L’energia trasformata dal lavoro di tanti, scambiata, trasmessa, che fine farà oltre il sipario? Rimangono onde di energia oltre il sipario? Onde o particelle? È fatta di onde o di particelle la polvere di porporina, sparsa sul prato assieme alle lacrime di un folletto?

Dove vanno a finire gli attori, oltre il sipario? Da dove entreranno, o usciranno per la prossima rappresentazione? Restano lì, ad aspettare il pubblico, a prendersi cura di quel loro universo? E se la prospettiva si ribalta? Che cosa ne è del pubblico, oltre il sipario? Cosa rimane agli attori di coloro che li hanno ascoltati e guardati, lo scroscio di applausi ormai svaporato? Le domande dei bambini forse? Quali sono le domande oltre il sipario? “Perché non voli? È la prima fra le domande”, mi racconta Roberto. Ha tolto la maschera del folletto che ha perso il suo nome, eppure conserva tracce di trucco, la chioma di ricci color del rame. Lui sa come rispondere ai punti interrogativi degli umanini (ovvero i bambini incontrati dai folletti nel loro bosco) “Serve il raggio lunare, ancora è giorno, devo aspettare la luna per poter volare”. C’è poi chi gli chiede, “ma i tuoi capelli sono veri o hai una parrucca?” E lui: “Ho la parrucca, ma è attaccata così bene che sembrano capelli veri”. “E quali sono le differenze tra elfi, folletti e gnomi?” E lì si apre un mondo, quello oltre il sipario.

Rimangono le domande e le risposte oltre il sipario? Trebecchi lo sa, da oltre il sipario, che ha stimolato la domanda delle domande, insidiosa nella mente di una fisica perduta? Se apro la scatola troverò un gatto sveglio o un gatto addormentato, vivo o morto, presente o assente? Se mi avventuro oltre il sipario, incontrerò qualcuno a cui chiedere parole, o solo costumi afflosciati nei camerini abbandonati? E il regista, gli attori, i tecnici, tutte le meravigliose persone, gli addetti a questa o a quella mansione, di un’organizzazione strutturata e collaudata come lo è il Teatro Villa Pamphilj, troveranno il loro pubblico oltre il sipario? O gli spettatori saranno tutti ritardatari e non ci sarà nessuno da premiare perché arrivato puntuale? Le storie famose passi pure, ma chi ascolterà quelle mai raccontate, cosa ne sarà del cantastorie delle creature alate? 

E della “Black Aida”, un’opera nata da un cambio di prospettiva? Si tratta di uno spettacolo co-prodotto dall’Associazione Arena Sferisterio e dall’Associazione Teatro Giovani Teatro Pirata (ATGTP) nelle Marche. E la parola prospettiva me la regala, oltre il sipario, la soprano, la cantante lirica italiana Fiammetta Tofoni. Accanto a lei c’è Bintou Ouattara, originaria del Burkina Faso, che narra danzando e canta la storia di Aida dalla prospettiva africana. La musica è quella della sua terra, ritmata alle percussioni dal musicista, anche lui africano, Petit Solo Diabatè. Incontro Fiammetta e Bintou nei camerini, dove Bintou mi regala la parola miscela. “Come quando le cose si mischiano e nasce qualcosa di nuovo, che non c’era prima”, mi dice. E’ una parola che sente molto sua in questo tempo difficile. Le sembra adatta per andare oltre. Forse oltre il sipario?

Lo spettacolo in cui le due artiste uniscono la danza al canto lirico, la postura operistica alla musica dai suoni scarni ed essenziali della tradizione africana, è un qualcosa di oltre, non solo per lo sguardo dei bambini e dei ragazzi per i quali è pensato e scritto. È oltre l’opera lirica e oltre il teatro narrato o la rappresentazione etnica. È uno spettacolo che fa della diversità la sua forza. Un’idea che nasce dal proposito di educare alla diversità, parola che mi regala il drammaturgo e regista Simone Guerro. Secondo l’attore Claudio Pellerito, spettatore tra il pubblico, “è un progetto educativo, non tanto per la storia di Aida, quanto per la parte musicale che consente di ascoltare, più che vedere, una commistione di cultura africana adattata alla voce operistica. Che poi in fondo è così, la musica più che la parola è il vero linguaggio universale”.

Forse è uno spettacolo diverso sulla diversità non solo per il tema e la musica, ma anche perché va oltre il sipario, non lo ha proprio un sipario, nulla che crei divisioni o barriere. A pensarci bene, il filo conduttore di tutti gli eventi del Festival StraVagante, è proprio questo. Andare oltre il sipario. Ci si muove, spettatori e teatranti, miscelandosi in uno spazio comune, il cortile del teatro, che si amplia a diventare il parco, per poi allargare l’orizzonte, lungo la strada che unisce paesaggi diversi tra due orizzonti e due prospettive. O forse, ci sono, forse oltre il sipario non c’è più sipario, c’è il luogo dell’oltre, dove tutto è possibile, dove tutto si miscela, diversi mondi e culture si mischiano a creare nuovi colori. Dove bianco e nero non formano il grigio, ma l’azzurro di due gocce d’acqua, cheti fondono in un fiume e uniscono due sponde. Dove un folletto ritrova il suo nome, per tornare a volare. È aiutato dai bambini (umanini), attori anche loro, visibili o invisibili non fa differenza, oltre il sipario.

E poi oltre il sipario ci sono le pause. Quelle per bere un bicchier d’acqua, scambiare due parole, mangiare un tramezzino e conoscere mondi diversi dal nostro, quelli di chi ci sta accanto. Come il mondo del fotografo Guillermo Luna, fotoreporter del Festival StraVagante. Guillermo è arrivato a inizio anni duemila dall’Argentina e dice camera in spagnolo, per riferirsi al suo strumento di lavoro, quell’oggetto fatto di lenti, attraverso le quali catturare e custodire immagini. Anche il fotografo fa parte del mondo oltre il sipario, scatta foto, le scarica, le elabora, e tra tante ne sceglie una, quella che “scolpisce la luce”, mi dice. Il suo occhio è sempre oltre un sipario, quello della lente, che filtra la realtà dall’interno della sua camera.

Quello di cui sono certa stasera è che oltre il sipario ci si sente vagamente tristi e alquanto malinconici, specialmente nel giorno della chiusura. Per questo stasera ho indugiato nei saluti. Ho visto smontare le scene, caricare il furgone, chiudere ombrelli, spostare le sedie e ripararle al chiuso. Ascoltavo parole nella mia testa, tante anche oggi, quante me ne saranno sfuggite? Il bolla-nome, per esempio. Che oggetto meraviglioso, da custodire con cura per non dimenticare il proprio nome. Ma se lo si perde, nessuna paura, non c’è problema. Sarà sicuramente finito oltre il sipario… lì dove tutto inizia e finisce…