Monte

Monte

Agosto 17, 2022 0 Di Marta Cerù

Strano ma vero il mio primo viaggio in Olanda, nella terra dai paesi bassi tracciati dai canali, mi ha portata ad ammirare un monte, il Monte Tamalpais, a partire da un monte che guardo da anni ogni mattina, il Monte Nerone. La storia comincia da lontano ma arrivo velocemente al punto. E cioè alla mia prima volta ad Amsterdam, priorità assoluta visitare il Van Gogh Museum. È stato così che dopo aver visitato quadro per quadro le sale dedicate all’artista che ha reso il colore sentimento, ho esplorato un’esibizione temporanea dedicata a Etel Adnan (1925-2021), artista che non conoscevo, che ha reso il colore parola. Colour as a Language” è una mostra che associa due artisti di due epoche diverse grazie al loro rapporto speciale con il colore: Etel Adnan e Vincent Van Gogh.

Didascalia della mostra dedicata al lavoro di Etel Adnan è la frase: “I colori rendono visibile cosa l’artista cerca di dire ma nel silenzio”. Lei nasce come scrittrice, poetessa, poi comincia a dipingere, a creare forme con il colore. Figlia di padre siriano musulmano e madre greco cattolica di Smyrne (oggi la Izmir turca), è cresciuta nel Libano francese e poi emigrata negli Stati Uniti. La sua visione di sé è quella di una persona abitante del pianeta terra. E la sua frase più bella è: “Il giorno che non ci sarò più l’universo avrà perso un’amica”.

Dipinge forme astratte, dipinge la natura, e molta della sua arte è dedicata al monte che osserva dalla sua finestra in California, il Monte Tamalpais. Ed ecco che sono arrivata al punto. Il mio rapporto con il Monte Nerone è all’unisono con il suo. Non so quante albe ho dedicato a guardare il profilo del Monte Nerone, cercando di descrivere anche solo a mente ciò che vedevo, nel silenzio. Avrei fatto meglio a prendere una tavolozza e dei colori, mi chiedo guardando le opere di Etel. Non lo so. A volte ho scritto, ho descritto queste albe che incorniciavano il Monte. Quello che si è sedimentato negli anni è un rapporto, una relazione. 

Che ho ritrovato nella vita di Etel Adnan e nel suo libro Journey To Mount Tamalpais. L’ho sfogliato rimanendo folgorata da una pagina in cui l’autrice racconta: “Una volta ero in televisione e mi chiesero quale fosse la persona più importante che avessi mai incontrato. Ricordo di aver risposto, una montagna. Ed è stato così che ho scoperto quanto il Monte Tamalpais fosse al centro del mio esistere”.

Non avevo mai pensato al mio rapporto con il Monte Nerone in questo modo. Anche perché non sono mai riuscita a scalarlo, seppure l’ho desiderato come un sogno, che prima o poi si sarebbe avverato. L’ho solo guardato da lontano, uno specchio di fronte ai miei cangianti stati d’animo. Forse non lo scalerò mai. O forse si. Forse è bastato un viaggio nello spazio e nel tempo. Sicuramente aver incontrato l’arte di Etel Adnan è stata per me una scoperta. Le sue parole colorate mi hanno mostrato uno specchio, quello della mia relazione con il Monte Nerone. Scrivevo qualche settimana fa all’alba: “Guardo il Monte Nerone delineato dal rosa del cielo albeggiante, terso e senza nuvole da stanotte. Ora una strisciolina biancastra si avvicina alla cima del monte. Qui, in basso, è terra di girasoli, ancora non secchi, eppure cibo per cinghiali che bucano le loro linee, le spezzano guastando il lavoro di un intero campo…”

Dentro le parole ci sono io che contemplo dalla mia finestra una montagna. Tutto cambia, tutto passa, con il sole che sorge e la tinge di rosso, o con la luna che la rende una silhouette scura, ombra cinese, lontana, irraggiungibile, eppure vicina quasi da poter tracciare il suo profilo con un dito. Ancora non la capisco, ancora mi sfugge, ma continuo a guardarla. Ed è in quello sguardo che mi vedo anche io.