Baricentro

Baricentro

Dicembre 10, 2023 0 Di Marta Cerù

(Premessa: Le mie cronache dalla Fiera della Piccola e Media Editoria Più libri più liberi, quest’anno non seguono l’ordine temporale dei cinque giorni di fiera. Purtroppo non ho potuto essere lì dalla prima apertura all’ultima chiusura. Recupererò strada facendo, leggendo i libri che ho scoperto, ritrovando le parole che mi sono state regalate.)

Sono partita dalla fiera Plpl2023 nella Nuvola del sabato e tornata alla Nuvola del sabato. Nel mezzo tante parole, un viaggio, la ricerca di un senso alla morte negli abbracci di chi resta, nelle parole, sempre loro, le parole, che provo a legare con un filo. Vivevo in questi giorni un lutto personale, che si è agganciato al lutto della Più libri più liberi 2023, che piangeva Michela Murgia, il vuoto da lei lasciato.

La parola più complicata me l’ha regalata Chiara Valerio, senza battere ciglio mi lancia la parola Paltoniere, prima o poi capirò il perché… mi dico salutandola, mentre corre da una presentazione all’altra. È lei, come lo scorso anno l’ideatrice-curatrice del programma di una fiera memorabile, a partire dal titolo “Nomi cose animali città”, come il gioco che un po’ tutti abbiamo amato.

L’ho incontrata dopo la registrazione in presenza di pubblico della trasmissione “L’isola deserta”, che in genere seguo il sabato su Radio Tre. L’ospite era Paolo Giordano. E da lui ho catturato la parola Desiderio. L’ha nominata in una interessante accezione, legata all’evoluzione della tecnologia. In questo momento in cui i nostri desideri sono decisi da altro, siamo noi che dobbiamo capire qual è il desiderio, riappropriarci di una intenzionalità, perché senza desiderio si prende, si ruba, ci si fa determinare dal desiderio altrui. E non è questa la strada per evolvere come esseri umani assieme alle potenzialità attuali della intelligenza artificiale. Sarà forse paltoniere, la parola per descrivere chi è povero di desiderio e agisce da mentecatto, da persona vile, spregevole, priva di scrupoli? Mi chiedo ripercorrendo il dialogo tra Chiara Valerio e Paolo Giordano.

E questa parola mi riporta a un libro appena uscito per Arkadia Editore, presentato qui nella Nuvola di Fuksas sul palco Rai di Radio1 Plot Machine. L’autore è Paolo Restuccia, non solo regista di una delle più longeve trasmissioni radio “Il Ruggito del Coniglio” (ogni mattina su Radio2), non solo editor e maestro di scrittura, fondatore della Scuola Genius (e ancora prima della scuola Omero), ma anche autore di un primo libro giallo e ora di un secondo, a formare una Trilogia della Salvezza, come mi racconta. “Il sorriso di chi ha vinto” inizia inquadrando l’uomo che non crede in niente. Un uomo che lo stesso Restuccia definisce come qualcuno che ha dovuto conoscere, continuando a seguire le vicende della ragazza chiamata Greta Scacchi, protagonista del primo romanzo intitolato “Il colore del tuo sangue”. Quest’uomo è la faccia perversa del male quando diventa potere. È il nemico. E la parola che l’autore mi regale è proteggere. Perché, come dice lui, si può sempre fare qualcosa, una cosa, fosse anche solo non parcheggiare in doppia fila nel quartiere Prati di Roma (notoriamente un far west automobilistico). Il suo sguardo, sempre puntato sulle storie, molto spesso quelle che altri scrivono, è quello di chi, “invece di subire il peso, vede cosa c’è di bello e cerca di proteggerlo, cogliere ciò che ancora si può fare”.

Mi sono affacciata nella nuvola tardi quest’anno, quasi ogni giorno nel rosso della sera e con il cuore pesante di vuoti e di perdite. Lutto è la parola che portavo con me. Avevo saputo che l’amico Andrea D’Aquino era scomparso, lasciando tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, dai tempi di fisica e oltre, increduli e affranti. Voci assonanti nel ricordo. Siamo stati ragazzi e ragazze insieme, sui banchi dell’Università La Sapienza, partecipavamo alle lezioni di Analisi del Prof. De Vito, una colla per la vita, che non è deteriorata, non si è seccata, ha mantenuto la presa, non consentito il distacco.

Uno degli incontri speciali nella Nuvola è stato quello con la poetessa Vivian Lamarque, vincitrice della prima edizione del Premio Strega Poesia con il suo “L’amore da vecchia” (Mondadori). L’autrice ha presentato un libro di lettere, quelle tra la poetessa Wislawa Szymborska e lo scrittore e suo compagno di vita Kornel Filipowicz. “Meglio di tutti al mondo sta il tuo gatto”, Edizioni Elliot. Lamarque ha citato una struggente poesia di Wislawa, scritta dopo la morte del suo compagno di vita e intitolata “Il gatto in un appartamento vuoto”.

Andrea D’Aquino

Vita, morte, vita. Dove cade il baricentro quando se ne va un’amico? Quando ci lascia proprio quella persona capace di creare relazioni in cui spostare il baricentro più verso l’altro che verso se stessi? L’immagine è una descrizione di Andrea da parte di suo fratello Roberto. Che ci ha regalato un ricordo. Erano bambini. Andrea otto anni, Roberto sette. E in paese hanno visto una vecchietta che bolliva la conserva nel barile sopra un fuoco a legna. Però la legna era finita e lei non sapeva come mantenere il bollore. Roberto ha pensato bene di recuperare ciocchi da vicini vari senza chiedere il permesso. Ma Andrea lo ha spinto a rimettere quella legna a posto e poi è sparito per un po’ nel bosco, tornando carico della legna che serviva alla signora. Io lo ricordo come una persona dal sorriso accogliente, di poche parole, abbandonato alla vita. E ora alla morte. La forza che ha lasciato in ognuno di noi è una briciola. Il pane si è formato, e ora sbriciolato, nelle relazioni con i suoi familiari, i suoi due figli e la sua compagna Urszula, incontrata tra la neve in montagna.

Foto di Andrea D’Aquino

Poco tempo fa Andrea scriveva dalla sua pagina Facebook un racconto d’amore di una bellezza limpida, come la neve che le sue parole fanno respirare: “Anni fa, quando ancora riuscivo a dedicarmi in modo assiduo alla passione per la montagna, partii di buon mattino dall’EUR, dove vivevo, in direzione del Monte Velino. Era un po’ la mia palestra di allora: percorso ripidissimo, uno di quelli con maggior dislivello dell’Appennino Centrale, molto panoramico, impegnativo, con alcuni tratti in arrampicata libera verso la cima. Ero da solo, ma conoscevo il percorso a menadito, ero dotato di GPS (cosa non da poco per l’epoca) e i miei cari erano a conoscenza della mia destinazione e dei miei orari. La notte prima aveva nevicato abbondantemente: la prima neve della stagione. Ma in mattinata il cielo era limpido e il sole molto caldo. La neve era pesante, il percorso ancora più impegnativo dovendo fare le tracce, l’arrampicata finale decisamente sconsigliabile visto che la neve che si scioglieva aveva reso le rocce più viscide del sapone. Mi fermai a circa 3/4 del percorso, sdraiato sul ripido pendio a gustarmi il sole e il panorama. Quella stessa mattina, dalla parte opposta di Roma rispetto a dove vivevo io, una persona che non conoscevo si mise in viaggio di buon mattino verso la mia stessa montagna. Non ci era mai stata ma le avevano parlato tanto del Monte Velino. Non avendo trovato nessuno disposto ad accompagnarla, decise anche lei di andar da sola. A differenza di me però, non solo non conosceva quella montagna ma, soprattutto, non aveva esperienza di montagna in generale. Non aveva cartine e non sapeva come orientarsi. Chiese indicazioni al casello dell’autostrada, parcheggiò, cominciò ad incamminarsi seguendo le tracce nella neve. Incontrò persone che tornavano indietro e che la sconsigliavano dal proseguire. Ma lei continuò a seguire le tracce. Ci sono tanti sentieri che salgono sul Velino, ma lei seguì le uniche tracce che imboccavano il sentiero più ripido e impegnativo, quelle che le avevano dato l’impressione di spingersi più in alto di tutte. La sentii arrivare dopo un po’ nel punto in cui mi ero fermato. Aveva percorso un tratto molto faticoso: le tracce nella neve le avevo già fatte io, ma lo stesso non era proprio una passeggiata arrivare dov’ero. Lei invece appariva quasi fresca e riposata e come prima cosa mi chiese se non fosse possibile andare avanti, rimanendo delusa alla mia risposta negativa. Non so perché, ma la sua determinazione e la sua totale incoscienza mi affascinarono fin da subito. Tutto questo succedeva esattamente 20 anni fa. Quella persona è diventata la madre dei miei figli e, nonostante tutto, è ancora la mia compagna”. (dalla pagina Facebook di Andrea D’Aquino).

Mi aggiro tra la gente che scrive, che legge, tra chi ha il coraggio di restare una casa editrice, piccola ma necessaria, tra i grandi dalle piccole parole e i piccoli dalle grandi parole. E provo a trovare un baricentro. Con una domanda che rilancio nella nuvola, orfana di tante voci che avrei voluto ascoltare in questi giorni. E che per fortuna posso ritrovare nei loro libri. Dove resta, se resta, il baricentro di chi muore?

Ciao Andrea