Goccia

Goccia

Dicembre 5, 2019 0 Di Marta Cerù

C’è tanta vita in una goccia d’acqua.
La frase riecheggia nella mia mente mentre esco nella fredda sera dipinta di rosso, del colore che avvolge la Nuvola di Fuksas, dopo la prima giornata di Più Libri Più liberi, Plpl2019, la fiera della piccola e media editoria. E Goccia è una parola che non posso non acchiappare, dalla giovanissima scrittrice e poetessa Rebecca Maria Sdoia. È lei la prima bella scoperta del mio viaggio di quest’anno nella Nuvola, le sue parole hanno scandito un ritmo con il quale vorrei accompagnare la mia voce.
Perché le poesie della raccolta “La luce del faro” (Ensemble Edizioni) hanno una loro musica, come la vita di una goccia, o di ognuno di noi, dice l’autrice, presentata dallo scrittore Giorgio Ghiotti, anche lui poeta, oltre che narratore. Continua Rebecca: “Nelle mie poesie, il ritmo è un’esigenza. Mi viene in mente la scena di persone che ballano in una sala da ballo e si muovono anche senza musica”. La sua immagine richiama la bellezza, il vero che ognuno di noi fa emergere se vive in accordo con la propria danza.

D’altra parte mentre l’ascolto penso alla Goccia di un grande scrittore, quella che titola uno dei racconti di Dino Buzzati, nell’antologia “Sessanta Racconti” (Mondadori). È una storia piccola e intensa, ambientata in un condominio di notte, in cui si sente il rumore di una goccia d’acqua che sale le scale, dal piano terra fino ai piani alti. L’immagine di Buzzati è surreale e inquietante, una goccia che sale nella notte le scale. E tutto il racconto è narrazione di quest’attesa notturna:

“Arriverà la goccia sul mio piano, la sentirò vicino alla mia porta?” sembra chiedersi ogni condomino, in un crescendo di aspettativa e ansia che si risolve solo con l’arrivo del mattino: “Certe notti la goccia tace. Altre volte invece, per lunghe ore non fa che spostarsi, su, su, si direbbe che non si debba più fermare. Battono i cuori allorché il tenero passo sembra toccare la soglia. Meno male, non si è fermata. Eccola che si allontana, tic, tic, avviandosi al piano di sopra. So di positivo che gli inquilini dell’ammezzato pensano di essere ormai al sicuro. La goccia – essi credono – è già passata davanti alla loro porta, né avrà più occasione di disturbarli; altri, ad esempio io che sto al sesto piano, hanno adesso motivi di inquietudine, non più loro. Ma chi gli dice che nelle prossime notti la goccia riprenderà il cammino dal punto dove era giunta l’ultima volta, o piuttosto non ricomincerà da capo, iniziando il viaggio dai primi scalini, umidi sempre, ed oscuri di abbandonate immondizie? No, neppure loro possono ritenersi sicuri. Al mattino, uscendo di casa, si guarda attentamente la scala se mai sia rimasta qualche traccia. Niente, come era prevedibile, non la più piccola impronta. Al mattino del resto chi prende più questa storia sul serio? Al sole del mattino l’uomo è forte, è un leone, anche se poche ore prima sbigottiva.”

La goccia di Buzzati mi ricorda il concetto di controtendenza, che non è poi molto diverso dalla capacità di fermare il fugace, che il poeta ha per definizione. E non è tanto una questione di tempo, fa notare Giorgio Ghiotti, che considero un faro giovane e saggio, nel mondo della letteratura classica e contemporanea. L’avevo ascoltato parlare un anno fa e da allora seguo la sua luce. Lo considero una guida. E non è un caso che lo abbia incontrato appena entrata in fiera, emozionata di festeggiare il primo compleanno del mio piccolo blog, una goccia nel mare, tra tante voci la mia.

Giorgio Ghiotti ha recentemente pubblicato per Hacca il suo “Gli occhi vuoti dei santi”, al quale dedicherò a suo tempo una lettura attenta, perché so che sarà sorgente di tante parole, tante gocce, tante prospettive. Lo so, avendo letto le poesie di Ghiotti nel libro “La città che ti abita” (Empirìa). Quando l’ho incontrato per la prima volta l’anno scorso, parlava del ruolo dello scrittore rispetto al ruolo del politico, con la sensibilità di chi non può scindere le due voci, perché crede che la poesia non possa essere tale se non ha anche un senso di responsabilità civile e sociale. Nello stesso spazio fisico di un anno fa, sotto la stessa Nuvola, ho ascoltato oggi le sue parole e mi hanno riportata al concetto del vero, alla scrittura come mezzo per esprimere le cose che ci rendono vivi, veri, perché solo quello è il filo che crea il rapporto tra chi scrive e chi legge.
D’altra parte la poetessa Rebecca ha una voce distinguibile, i suoi versi sono ritmo, sono spazio, sono tempo. Perché, come lei stessa ha spiegato: “Ogni poesia è un viaggio, c’è un perdersi e un ritrovarsi, attraverso c’è la luce, l’amore che illumina, il faro. Non ci sono tappe da seguire. La semplicità e la chiarezza le porto nel cuore. Ed è la capacita di meravigliarsi, di innamorarsi, il fatto che si possa rendere ogni cosa poesia, questo è la luce del faro. Non tanto le mappe per i marinai in mare, quanto le stelle del firmamento a indicare la rotta”.
Uno dei versi letti ad alta voce suona così:
“Invoco un tu più esteso”
E richiama uno spazio, un nostro essere nello spazio, essere più di quello che siamo. “Siamo esseri fatti di tempo”, ha ricordato la scrittrice citando Carlo Rovelli e il suo “L’ordine del tempo” (ne ho scritto acchiappando la parola Tempo). Ma il tempo si percepisce meglio se lo pensiamo in termini spaziali, come per esempio quando torniamo in un luogo dove eravamo stati in passato e tutto si contrae e si avvita attorno al ricordo, il passato nel presente e viceversa, mentre la nostra voce è adesso ma è frutto di quello che eravamo.
Ascoltare alcuni versi di Rebecca è stato il modo più bello di iniziare a ripercorrere gli spazi della Nuvola, cercando parole nei volti delle persone che scrivono, che leggono, o che semplicemente vivono.

Come Annalisa Venditti, che incontro seduta allo stand di Dei Merangoli Editrice. Si presenta e mi racconta del suo libro, coro delle tante Voci di donne perse, coloro che hanno perso figlie uccise dalla violenza e che sopravvivono al dolore di sopravvivere. L’autrice è giornalista e dalla sua esperienza nella cronaca ha tratto la forza di mettere in forma di tragedia greca una storia che ne contiene tante. Il progetto ha dato vita a un laboratorio teatrale, a uno spettacolo dove dare parole alle voci perdute e dimenticate, e questo spettacolo, realizzato da protagoniste non attrici, è diventato un libro dal titolo: “Donne Perse(Phone)”, che ora vive amplificando le voci perse, ritrovate e illuminate, grazie alla voce dell’autrice.
Che oltre alla parola Voce, mi regala il suo libro e l’occasione di conoscere la casa editrice Dei Merangoli, che, in sei anni di vita, ha un catalogo vario, dalla narrativa alla saggistica, ai volumi di arte o di storia. Tra questi, sfoglio due bellissimi scratch book illustrati, che mi fanno pensare a partiture musicali ancora da comporre. Mentre scorro le pagine bianche e le illustrazioni tratteggiate a matita, torna il senso del ritmo, quello delle stagioni che si alternano, come rispondendo al richiamo da un invisibile direttore d’orchestra.

Ho ritrovato soprattutto amici tra le voci di questa prima giornata nella nuvola. Ho rivisto Valentina Tudisca, presente allo stand del CNR con il libro sui migranti “Imago Mingrantis. Migranti alle porte dell’Europa nell’era dei media” (Consiglio Nazionale delle Ricerche). Lei nel salutarmi mi ha regalato la parola Contaminazioni, perché il suo trattato accoglie tante voci, quelle di coloro che si spostano migrando e quelle di chi li racconta, li rappresenta, attraverso una narrazione di parole o di immagini. Il racconto stesso contamina ed è contaminato, mi dico. Nulla è immune, nulla è sterile, tutto ciò che è vita è soggetto a contaminazioni. Sta a noi aprirci nell’abbraccio. Ed è questa l’ultima parola del mio primo tuffo in fiera: Abbraccio. Me la regala l’amico Flavio Sorrentino, dal suo stand della casa editrice Biancoenero. E come potrebbe essere altrimenti? I libri di questa piccola casa editrice abbracciano tutti, sono ad Alta Leggibilità, diversi per ogni tipo di diversità, sono creati per includere, non per escludere. Sono storie piccole ma vere, novità letterarie o classici, ripresentati con caratteri accessibili, anche a chi ha difficoltà di lettura. Ogni libro è un abbraccio.

Come nei versi di Rebecca:
“Il tuo amore
da grembo
è diventato abbraccio
e da abbraccio
adesso è diventato luce,
la luce che porto nel cuore”.

E da Goccia ad Abbraccio, passando per Voce e per Perdersi e Ritrovarsi attraverso il Faro e la Luce della Poesia, dalla Nuvola è tutto per oggi, parola di Wordfetcher.