InSOStenibile

InSOStenibile

Ottobre 25, 2020 0 Di Marta Cerù

InSOStenibile è la parola una e trina che indica un appello, una direzione e una scialuppa. L’appello sta nell’SOS, la direzione nel riconoscere la parola per intero, averne consapevolezza rispetto alla salvaguardia del pianeta terra, delle componenti che lo hanno reso luogo adatto all’insorgere della vita come la conosciamo: non solo aria e acqua, ma anche suolo. La scialuppa la troveremo eliminando il prefisso In, invertendo la direzione di uno sviluppo ormai Insostenibile e trovando strategie per la sostenibilità. Ma come? 

È quello che ci si chiede in tutto il pianeta. È quello che chiedono i giovani che con Greta Thunberg hanno fondato il movimento globale Friday for future e cercano di rassettare l’eredità ambientale che hanno ricevuto.

È quello che ci si è chiesti in Europa, durante il Consiglio dei leader dello scorso 16 ottobre 2020, focalizzato sull’attuale pandemia ma anche sulle strategie comuni per contrastare i cambiamenti climatici riducendo le emissioni in atmosfera. Questa la conclusione generale, che rimanda alla riunione di dicembre il fine di concordare un nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030: “Per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica dell’UE per il 2050, in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, l’UE deve aumentare le proprie ambizioni per il prossimo decennio. Il Consiglio europeo ha discusso la comunicazione della Commissione intitolata “Un traguardo climatico 2030 più ambizioso per l’Europa”, compresa la proposta di un obiettivo di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030, nonché le iniziative necessarie per realizzare tale ambizione. I leader dell’UE ritengono che l’obiettivo aggiornato debba essere raggiunto collettivamente dall’UE nel modo più efficiente in termini di costi. Tutti gli Stati membri parteciperanno a tale sforzo tenendo conto delle circostanze nazionali e di considerazioni di equità e solidarietà. Tutte le pertinenti normative e politiche dell’UE devono contribuire al nuovo obiettivo 2030 e al raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica, nel rispetto della parità di condizioni ed evitando la rilocalizzazione delle emissioni di CO₂“.

Umbria-Copertura del suolo 2018

Guardandomi intorno dalla zona in cui vivo, l’elemento base che salta all’occhio è il suolo, quello strato di superficie terrestre capace di nutrire le radici profonde dell’albero della vita, i cui rami sono tutte le specie viventi, ovvero la biodiversità. Salta all’occhio perché è tanto, non così intensamente sfruttato, nonostante l’economia del tabacco tipica dell’Alta Valle del Tevere. Ci sono ancora i boschi a salvare la verde Umbria. E lì la ricchezza, oltre che negli alberi, è nel suolo. Questa parola ci contiene. Anche noi, esseri umani, siamo parte della diversità delle specie viventi che si sono evolute sulla terra. E proprio noi, da un certo punto in poi, circa diecimila anni fa, abbiamo creato una frattura irreversibile: con l’invenzione dell’agricoltura siamo diventati stanziali, abbiamo cominciato a erodere il suolo nei tanti modi che ci avrebbero consentito di crescere e moltiplicarci, diventando sempre più invasivi rispetto alle altre specie viventi. Da quella frattura iniziale se ne è creata un’altra, ancora più dannosa per l’equilibrio tra la nostra specie e le altre: l’allevamento, poi diventato zootecnia nell’era industriale, cioè la produzione di cibo attraverso l’accrescimento di animali tramite lo sviluppo delle tecnologie.

Umbria: valore pro capite a livello comunale del suolo consumato nel 2018

Il tema degli allevamenti industriali è ormai associato alle emissioni in atmosfera e all’aumento di anidride carbonica. Anzi, proprio gli allevamenti, contribuiscono in maggioranza a questo tipo di inquinamento, anche rispetto ai gas di scarico delle automobili. Abbiamo imparato a valutare l’impatto di una bistecca o di un petto di pollo, in termini di consumo del suolo e di emissioni in atmosfera. Esistono vere e proprie impronte digitali del cibo sull’ambiente, Foodprint è solo un esempio. Eppure in Italia, in alcune regioni come l’Umbria per esempio, manca una normativa aggiornata che tenga conto dell’insostenibilità degli allevamenti intensivi, anche di quelli definiti biologici purtroppo, perché si tratta comunque di modalità produttive dal forte impatto ambientale, non fosse altro che per il numero dei capi e per la separazione intrinseca tra il luogo dell’allevamento e la provenienza dei mangimi (quindi i terreni agricoli destinati a produrre mangimi) e lo smaltimento delle deiezioni, sempre in impianti esterni all’allevamento.

In particolare, negli ultimi decenni, l’aumento degli allevamenti di polli è stato del 5% ogni anno in Italia. E oggi i polli allevati per sfamarci sono più del 30% di tutte le altre carni. In Italia questo ha coinciso con l’insediamento di allevamenti avicoli, dovunque fosse possibile farlo. Da dove scrivo per esempio si sta materializzando questa possibilità, a causa di un progetto tenuto per qualche anno all’oscuro degli abitanti confinanti con l’area destinata aell’allevamento. Gli ignari polli, per ora solo un incubo per chi li avrà come vicini di casa, potrebbe alterare per sempre la sostenibilità di questo territorio, già alquanto compromesso dall’economia del tabacco. Assieme a tanti altri abitanti della nostra Valle del Minima, un fiume che scorre tra Umbria e Toscana, quasi in corrispondenza della cortonese, abbiamo formato un comitato, il CAPEV-COMITATO AMBIENTE PETRELLE E VALMINIMA, pronti a contrastare con ogni mezzo legale l’arrivo dei trentamila animali previsti in questo allevamento intensivo, seppure biologico.

Ne ho già scritto di questa battaglia, la parola era polli e ne avevo accennato grazie al tema della dualità, ma continuerò ad approfondire il tema fino a che non avremo scampato il pericolo, sia per noi esseri umani, che per i polli destinati a vivere in due capannoni industriali per una cinquantina di giorni, per poi essere liberati a razzolare (forse incapaci persino di farlo essendo cresciuti pulcini in un ambiente chiuso), perdersi tra campi e boschi facile preda di volpi e faine e, se sopravvissuti riportati indietro verso il macello. Allargando l’obiettivo da questa storia piccola, in confronto a quelle degli allevamenti intensivi di ogni tipo in tutto il pianeta, sette milioni di abitanti umani sono un numero dall’impatto insostenibile sulle risorse naturali, se continuiamo con le tendenza attuali rispetto alla produzione del cibo. Il suolo si riduce di giorno in giorno, e gli effetti si ripercuotono causando una riduzione di specie che si estinguono a un ritmo accelerato e ormai drammatico. 

Ecco perché, rispetto agli allevamenti intensivi occorre appellarsi alla parola inSOStenibile, che in un caso è diventata una campagna fatta di battaglie dal basso contro gli allevamenti intensivi. È il caso di CIWF, una ONLUS denominata Compassion in World Farming, che è l’unica associazione italiana no profit che lavora esclusivamente per la protezione e il benessere degli animali allevati a scopo alimentare. La missione è quella di mettere fine all’allevamento intensivo, maggior causa di crudeltà verso gli animali sul pianeta. E per questo l’organizzazione ha lanciato una petizione che ognuno può firmare. Allo stesso tempo, CIWF promuove pratiche di allevamento rispettose del benessere degli animali, dell’ambiente e delle persone. (gli aggiornamenti proseguiranno grazie alla parola funghi e al loro regno, fatto di ramificazioni, collaborazioni, cooperazioni, simbiosi: soluzioni ecologiche, che potrebbero essere la strada per la nostra salvezza, se solo volgessimo più spesso le nostre cure al suolo)