Pietra

Pietra

Agosto 24, 2021 4 Di Marta Cerù

Anni fa scrissi un racconto breve e autobiografico. Parlava di una casa, nel luogo dell’infanzia, il Casino assai amato. Un amico mi fece notare quante volte avessi utilizzato la parola pietra. Era vero. Su duemila parole, pietra ricorreva sei volte, forse non troppo, considerata l’architettura della casa, un luogo inafferrabile come può esserlo quello delle memorie d’infanzia, ma pur sempre costruita di pietre toscane. In quanti modi è possibile declinare la frase: “Le parole sono pietre”?

Nel mio caso, in quel racconto, erano le pietre di una casa a farsi parola e costruzione di un sentimento, quello provato nell’infanzia, perduto e ritrovato, grazie al profumo di un fiore e al suono duro ma solido di un nome comune di cosa, una cosa fatta per poggiare, fondare, costruire, a volte purtroppo anche distruggere.

Ho conosciuto un uomo che ascolta le pietre, si prende cura della pietra, presta la sua mano e il suo orecchio per carpire le parole, poche, essenziali, contenute in ogni pietra che incontra, dalla quale estrarre un messaggio in forma di scultura. Marcello Rigucci, umbro dal marcato accento toscano, vive tra torri antiche, costruite in pietra, torri al confine tra Umbria, Marche e Toscana. Il luogo si chiama Casale e si trova poco più in alto della località denominata Sasso, nel comune di Città di Castello, dove le pietre abitano ovunque, sassi o meno che siano. Da lassù, in mezzo ai quattro venti, Rigucci ascolta la pietra e ne traduce il linguaggio in forme artistiche. La lingua delle pietre è universale, mi viene da dire, non ha confini per chi sa tradurla in parole, può abbattere confini, pur creando muri, ripari, contenimenti, terrazze, pareti, rifugi, luoghi del corpo e dell’anima. Esplorare il lavoro accumulato in anni di viaggi e ritorni, è stato un viaggio in culture antiche e moderne, come la pietra appunto, alla quale non possiamo dare età, almeno così a occhio nudo.

Rigucci la pietra la trova, la estrae dalla terra, la colloca nel suo laboratorio, e la spoglia degli strati che occultano e confondono il messaggio nascosto. Dirada la foschia, le nubi che avvolgono, fino a raggiungere il nucleo del messaggio espressivo che quella pietra, proprio quella, aveva in sé, a saperlo ascoltare. Avere un cuore di pietra è un modo come un altro per dire che qualcuno è incapace di compatire. Eppure, guardando le grandi facce di pietra, estratte dalle mani di un artista, capace di farsi abitare dal suo territorio, viene da pensare che anche le pietre abbiano un cuore, che un cuore di pietra sia capace, come ogni altro cuore, di sentire, di ascoltare. Forse non ha capacità di esprimersi, o lo fa con un linguaggio che solo pochi capiscono e interpretano. Forse nelle pietre esiste un cuore. E persino un cuore di pietra è dotato di un sentire, inesprimibile forse, talmente segreto e inaccessibile, da risultare duro ma solido: una base, su cui fondare ascolto e costruire dialogo.