StraVagante – Due

StraVagante – Due

Settembre 9, 2021 0 Di Marta Cerù

Pronti, partenza, via… È partito il Festival più StraVagante d’Italia, se non altro perché riesce a essere uno e doppio, e a fare del numero due o meglio della parola due la sua essenza. “Due ruote, due drappi di un sipario color di due mari, due ventricoli di un solo cuore”, è il sottotitolo di un’impresa che ha dell’eroico, in questi tempi divisori da tutti i punti di vista. Ed è Due la parola che scelgo per raccontare l’inizio del viaggio. Non la catturo solo dal manifesto del Festival, me la regala anche l’illustratore Fabio Magnasciutti, all’ombra delle sue vignette, esposte nel Teatro Villa Pamphilj. “Due è la mia parola”, mi dice. “Mi piace perché è corta, perché ha più vocali che consonanti, perché è un dittongo. E poi il Festival è intriso di questa parola, le ruote della bicicletta sono due. Tutto si svolge tra due mari”. D’altra parte due unisce uno più uno, crea un numero (anche di teatro) da cifre non sempre in accordo. Anzi, è proprio il contrasto, lo stridio, la materia prima che l’artista trasforma in armonia, attraverso le sue creazioni. Mentre guardo i disegni esposti, mi rendo conto, come mai prima, quanto il genio di Magnasciutti sia proprio in quella capacità di risolvere i tanti dualismi tra i quali, come esseri umani, ci troviamo divisi. A partire da quello tra il disegno e le parole, le vignette di Magnasciutti hanno quasi sempre un nucleo dialogico, tra due elementi solo apparentemente separati: due ventricoli, due interlocutori, due fiori, due personaggi, due unicorni che interpretano la nostra era social e l’ossessione di avere followers. Mentre mi muovo nella sala sento ridere qualcuno degli spettatori. E anche io mi ritrovo a ridere e a piangere, soffermandomi su alcune delle vignette capaci di trasformare lacrime in riso o riso in lacrime. 

Le prime lacrime di questa giornata me le regala colei che riesce a unire mari e monti, la direttrice artistica del Teatro Verde e del Teatro Villa Pamphilj, Veronica Olmi che, commossa, mi racconta di come l’idea di questo festival sia nata dalla visione di ritrovare i legami sfilacciati, ripristinarli ritrovandosi in presenza, e crearne di nuovi, da un mare all’altro, da una realtà teatrale all’altra. C’è chi ha perso tutto in questo anno e mezzo di pandemia, che non accenna a darci tregua. “Non ci resta che piangere” direbbe Troisi. Oppure trasformare le lacrime che abbiamo pianto, per le persone care che ci hanno lasciato, per il lavoro che è mancato, per l’isolamento, per la distanza che ci ha disabituati agli abbracci, agli sguardi dal vivo, al contatto, nella magia di un’idea che ci riporti alla natura, ai legami con i paesaggi, attraverso l’arte teatrale e non solo. Così, dall’invito a portare nelle Marche il Teatro Verde a Motore (il carro immaginato da Veronica Olmi e disegnato da Santuzza Calì per reinventare un’idea di teatro che non aspetta l’arrivo del pubblico, ma che se lo va a cercare), partecipando all’idea del Festival dei Paesaggi della Compagnia ATGTeatro Pirata è scaturita la poesia di questo festival itinerante che si muove in treno e in bicicletta. Tutto grazie all’entusiasmo e alla partecipazione di svariati artisti che da anni orbitano nel sistema solare di Veronica Olmi. Come Andrea Calabretta, che mi regala la parola StraVagante, essendone l’ideatore, pur definendosi più Vagante che Stra! Calabretta è scrittore teatrale, oltre che attore di tanti degli spettacoli della Compagnia del Teatro Verde ed ha quella dote magica di far divagare chiunque nell’immaginario dei bambini che siamo tutti. C’è poi l’attore Daniele Miglio, interprete dello spettacolo scritto da Simona Orlando, per la regia di Ariele Vincenti. “La mia parola è Daje”, mi dice. Ma in che senso declinarla lo capirò sabato 11 Settembre, assistendo allo spettacolo in prima assoluta “Vaganze romane”. Sul palco lo accompagnerà la chitarra classica di Dario Benedetti. Mentre sono Vagante tra i bambini del centro estivo, che si preparano a lasciare il campo, mi appare la tela dove Lorenzo Terranera disegna alberi per il progetto “Dieci metri di paesaggio su tela”. Le sue parole sono Terra, Aria, e Acqua, perché tutto parte da lì. “E come la vedi la nostra terra?” Gli chiedo. “La vedo male”, mi risponde, “ma noi ci mettiamo il colore. Anzi saranno i bambini a mettercelo”. Che mi sembra la vera poesia di questo Festival StraVagante, incentrato sulla natura e sull’inclusione.

Perché il teatro è poesia, mi dice Anna Maria Piccoli, autrice teatrale e anima del Teatro Villa Pamphilj, regalandomi la sua parola, assieme al suo sguardo azzurro e limpido, due occhi del colore dei due dei mari, da uno verso l’altro pedalando in bicicletta. “Questo Festival è per me poesia”, aggiunge. “Come lo è la natura, da sempre la fonte di ispirazione dei poeti, al pari dell’amore. Abbiamo bisogno di riabituarci al lirismo, di ritrovare lo spazio tempo dell’ascolto, che sia di una musica, di un testo teatrale, di una poesia appunto. Ne saremo capaci? Saremo in grado di riprendere l’abitudine al lirismo, dopo i tanti mesi in pausa, che ci hanno relegati di fronte agli schermi di un mondo solo digitale?”

È questa la scommessa di un’impresa coraggiosa che è cominciata solo oggi ma che si preannuncia densa di stimoli e di suggestioni. Un po’ come la musica di Bach, suonata da Paolo Andriotti, che usa proprio l’aggettivo densa per descrivere l’opera delle Suite di Bach per violoncello solo. La parola di Paolo è pace, ed è vero che ci si sente in pace, dopo aver ascoltato la sua esecuzione delle Suite n. 4, n. 2 e n. 5 al tramonto, mentre l’aria rinfresca e qualche cicala decide di unirsi al canto del violoncello. D’altra parte Bach era inclusivo. Come questo Festival StraVagante. Come le persone che lo creano e ne fanno esperienza. Lo spettatore Roberto mi regala la parola condivisione, la descrive come il sunto di un’esperienza musicale in cui il lirismo ha condiviso uno stesso spazio-tempo con i suoni in lontananza del traffico romano. Perché i concerti sono all’aperto, in uno spazio magico circondato dai i pini di Villa Pamphilj, ma pur sempre nel contesto caotico romano. Come non uscirne toccati nel profondo? Cecilia, quasi commossa mi descrive così, con la parola toccata, quello che ha provato ascoltando Bach mentre il sole calava. E abbiamo tutti un bisogno viscerale di sentirci toccati… a domani dunque…dalle 6:30, per il concerto all’alba e per una giornata intera di eventi StraVaganti.