Sinestesia
La figura retorica che associa parole relative a sensi diversi (un carattere freddo, un colore caldo, un post scottante o un suono dolce) me la regala il fisico/scrittore o lo scrittore/fisico Paolo Bartalini, in seguito alla presentazione del suo libro di racconti, intitolato “Dagli Appennini a Saturno”, Giulio Perrone Edizioni (marchio L’Erudita).
Per qualche motivo, che ha il profumo della lettura, mi trovo in vacanza nella residenza estiva della Scuola di Scrittura Genius. È qui, in terza serata, che lo stimolo della presentazione organizzata grazie ad Alice Felci della Libreria Indipendente Il Bianconiglio a Montalto di Castro, mi ha riportata al mio vizio di acchiappare parole. La mia penna era bloccata, negli ultimi mesi. Tanto che il senso di trovarmi in questa residenza non mi è così chiaro, come quando ho deciso di prenotare un posto.
Potrei essere nel mio agriturismo, giunta con questa stagione al termine di un’avventura, alla quale sto per dare la fine, chiudendo il sipario sulla mia maschera di imprenditrice agricola. Potrei sollevare pesi di buste e scatole, per portare a termine l’ennesimo trasloco di questi ultimi tre anni, quello che porta da una collina umbra, alla prossima sede metropolitana, dove libri e oggetti cercheranno una quiete, che pensavano (ingenui) di aver trovato. Potrei vagare di stanza in stanza, nella casa della mia adolescenza, sostenendo mia madre alle prese con le pulizie della morte, come lei chiama l’intento di accettare la fine del lutto, se mai può dirsi finito quello stato di morte apparente, una parte di lei non è più, è spirata tra le sue braccia quando se ne è andato mio padre, ormai da quattro anni, dopo che ne avevano trascorsi oltre cinquanta insieme. Potrei trascorrere un’estate al mare, come la mia saggia amica Giulia, o in montagna a camminare, o in un casale a visitare paesi e vedere quadri viventi, come fanno gli ospiti del mio agriturismo. Potrei inseguire mia figlia in Svizzera, accompagnarla dove ha preferito andare da sola… anzi no, lì non potrei essere, non sarei compagnia gradita. Potrei abitare il nuovo appartamento fresco di affitto, a Roma, prima di tornare a scuola, prepararmi al prossimo anno scolastico, quello in cui sono ufficialmente di ruolo. Potrei essere negli Stati Uniti, a trovare mio fratello Michele, come dico di voler fare da anni, lo sento di voler partire, visitare la sua casa, conoscere dal vero la sua vita, invece di provare a immaginarla come stessi leggendo “Caro Michele” di Natalia Ginzburg (Edizioni Einaudi). Potrei trovarmi a nuotare nella mia piscina, dormire per giorni, recuperare sonno perso, prima di perderlo ancora. O potrei essere in barca, perché no? Aver dedicato una cifra importante, guadagnata e messa da parte, alla navigazione per mare, non era quello che pensavo come un miraggio nei mesi invernali?
Invece no. Sono qui, a terra, in ogni senso possibile purtroppo. Così, anche qui, il mio posto non è definito. Potrei cimentarmi con un racconto, mi sono detta all’arrivo, quello che dovrebbe nascere in queste ore, giornate, fino a venerdì, grazie agli stimoli e all’editing di esperti della scrittura, come Lucia Pappalardo e Luigi Annibaldi. Oppure potrei confessare l’idea di un romanzo che ho in me da tempo, ma continua a rimanere in gestazione. Provare a scriverne almeno qualche pagina, darla da leggere al genio di Paolo Restuccia o alla sensibilità di scrittrice e lettrice di Tea Ranno, toccare con mano il confronto con loro in punta di penna e raccogliere semi da annaffiare di inchiostro. Non era questo il vero obiettivo focalizzato a maggio, quando mi iscrissi a questa full immersion estiva? Infine, potrei essere alla mia scrivania, a scrivere, continuare a riempire il mio blog di tante parole acchiappate e mai restituite, da quando, avendo saltato il Salto2023, ho smesso di pubblicare nuovi articoli.
Sono in tutte queste cose, sono in nessuna, tanto è il potere del Genio della Lampada. E di questa full di scrittura creativa, intitolata “L’eterno Giovane”.
Il mio corpo comunque è qui, a Montalto Marina, in una terza serata a bordo piscina, dove lascio svaporare, tra cocktail e luci artificiali, la parola sinestesia regalatami da Paolo Bartalini. L’autore/scienziato ha appena parlato di tempo e di scrittura, nell’ora dal sapore alcolico di un dopocena, regalando stimoli sul senso dello scrivere nel tempo, sulla possibilità di fermare il tempo attraverso l’arte in genere, o, per mezzo della scrittura, sul tentativo di conservare un eterno presente, come quello della giovinezza o dell’infanzia.
È così che si pone la sua raccolta di racconti. Come il libro “Cuore” di De Amcisi (Feltrinelli), ma in una versione contemporanea (il titolo ne è evocazione), dove il tempo continua a scorrere in senso classico, ma non c’è un intento pedagogico, piuttosto il tentativo di rappresentare attraverso le parole dei sensi e un uso misurato della sinestesia, lo spirito di avventura tipico dell’infanzia.
D’altra parte, la giovinezza che si vuol far durare in eterno, è il tema di questo ritiro tra scrittori, il filo rosso che attraversa la settimana. Lo spirito dell’eterno giovane è più vicino alla morte che alla vita. Perché chi muore giovane, rimane giovane per sempre, si ferma su quel filo, in una sospensione del tempo. Come il funambolo Philippe Petit tra le due torri, si sdraia lì al centro, lasciandoci col fiato sospeso a ricordare un’immagine per sempre.
Uno dei racconti di Bartalini, intitolato “La ragazza”, evoca proprio l’impresa di una sorta di funambolo improvvisato. Lo ha letto Massimiliano Di Celle: “L’esibizione di Pino è un film quasi muto. Ecco Pino che saluta, adesso fa un inchino; Pino che si stira, apre le braccia e muove i primi passi sul tubo; Pino che danza, a più riprese si tiene in equilibrio su un piede solo; Pino che a metà strada si inginocchia, alza le braccia e la testa al cielo stellato, sembra quasi che stia pregando; Pino là sopra, mentre la ragazza dorme in riva al fiume, posso scorgerne le mani incrociate sul petto: il ponte a due arcate dalla ferrovia; Pino che si avvicina con passo deciso, pare quasi di poterlo toccare; poi Pino si slaccia la fondina della ricetrasmittente: rumori metallici, clangore, quindi lo schianto finale; che cazzo stai facendo, Pino?” In ascolto, rimaniamo sospesi anche noi, a guardare l’immagine di Pino. Difficile dimenticarla, ora, persino tra i vapori di un cocktail a bordo piscina. Se un attimo prima non sapevo perché fossi qui e non altrove, ora forse lo sento, che non ha poi molta importanza dove io mi trovi. Sono figlia del mio spazio-tempo. A fare i conti con un sistema di riferimento che si muove con me, dandomi l’impressione di un’eterna giovinezza. Il trucco è quello di non arrivare. Perché, da una casa all’altra, da una parola all’altra, le possibilità sono ancora infinite. Ma una volta sistemati i bagagli… chiusa la storia, chi si ricorderà dove abito? Chi mai ripescherà un vecchio racconto rimasto chiuso in un cassetto? Chi si ricorderà dei tanti Pino e Mario di paesi lontani nel passato remoto?