Frittata

Frittata

Settembre 24, 2023 1 Di Marta Cerù

Profumo di cipolla, prima tagliata e poi soffritta. Il libro di Pellegrino Artusi, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, passato di mano in mano da zie a nonne, da mamme a figlie e a nipoti. L’arte di comporre una frittata come se fosse una poesia di Pablo Neruda. Il dialogo tra le note e le parole, di quando il teatro diventa concerto e improvvisazione. Il sapore di una storia vecchia come le nostre tradizioni, quella di un libro rifiutato dagli editori che diventa un best seller popolare nelle librerie di tutte le cucine dal dopo guerra in poi.

Un libro passato di mano in mano, di ditate in ditate, di appunti in annotazioni, di orecchie, in orecchiette, quel libro che è un’eredità, di un autore Pellegrino, di nome e di fatto. L’Artusi insomma, basta il nome a catapultarci nella tradizione di una cucina stagionale, che è anche educazione alla salute, al mangiar bene, all’economia domestica, che non spreca, e nutre tutti, con la passione e la creatività del metodo scientifico.

Tutto questo e molto di più è il contenuto dello spettacolo ideato da Annamaria Piccoli, intitolato “Anarchy in the U Kitchen. L’eredità di Pellegrino Artusi”, messo in scena allAngelo Mai di Roma, per la regia di Valeriano Solfiti, con le musiche dal vivo di Carlo Amato, improvvisate sul suo basso a sei corde, la direzione di luci e musiche di Enrico Bicio, e i testi narrati dall’ideatrice di uno spettacolo unico e irripetibile, come solo l’anarchia… Madrina della ricetta teatrale vincente, Veronica Olmi, direttrice artistica del Teatro Verde e del Teatro Villa Pamphilj.

Seppure ricco di improvvisazioni, il testo ha avuto una gestazione nel tempo del primo lockdown. Eravamo tutti chiusi ad affrontare l’ignoto evolversi di un virus. Ognuno di noi alle prese con la propria noia. Che si sa… è spesso all’origine delle esplosioni creative. E così è stato per Annamaria Piccoli, specialista di frittate (soprattutto quella di cipolle), che ha realizzato una serie di video disponibili su YouTube (al tempo ne usciva uno a settimana), nei quali racconta una ricetta condendola di arte figurativa, musica, letteratura, in prosa e poesia. Al tempo aspettavo il nuovo video con vivo desiderio, oltre che con l’acquolina in bocca. Ho preso in mano il Don Quichotte, per iniziarne la lettura, dopo aver sperimentato la frittata di patate di ‘Anarchy in the U Kitchen’. Ho associato da allora il profumo Montaliano dei limoni alla frittata di bucatini e all’ostilità del futurista Marinetti per la pastasciutta. Ho ritrovato il sapore delle polpette di pane, che facevano le ‘ziette’ di mio padre, zia Nannina e zia Giulia, due sorelle che oggi sarebbero felicemente single, e allora ‘zitelle’ felici forse lo erano comunque!

I video hanno dato origine a uno spettacolo dal vivo, o forse questo spettacolo era all’origine, in gestazione, quando i brevi video si sono manifestati sul web, e finalmente, ora che a teatro ci si torna da un po’, anche lo spettacolo ha trovato un suo letto, e come un fiume ci trasporta nel mondo dell’Artusi e nelle storie di un’Italia che gli anni Ottanta hanno messo quasi a tacere. ‘Anni Ottanta, Madonna canta, il muro crolla, la festa è tanta’. canta Annamaria sul palco, interpretando la trasformazione politica, culturale e culinaria che quel decennio ha significato. Mentre taglia le cipolle in abbondanza, sprigiona il profumo che si fa lacrima, enumerando le strategie tramandate di zia in sorella, di madre in figlia: ‘fai finta di masticare; metti una cipolla sulla testa; non respirare; taglia le cipolle con l’acqua in bocca…’. E se invece qualche lacrima in cucina non guastasse per nulla alla cuoca e alla ricetta?

L’attrice, scrittrice, giocoliera dei conti (che per chi fa teatro spesso non tornano), sorride e ci fa sorridere dei paradossi della modernità e del declino culturale chiamato globalizzazione. Le sue parole sono un balsamo per quelle paure che vogliamo, noi donne, a tutti costi nascondere: la paura di invecchiare, di diventare brutte, di prendere peso. Ci fa ridere e commuovere, mentre illustra a parole e nei fatti lo svolgimento di un tema: la frittata di cipolle, la sua specialità, vero grimaldello per aprire le porte della socialità e diventare l’ospite attesa e gradita di feste, raduni, cene e gite (in barca, in montagna, in campagna e… dovunque).

La cipolla, del resto, è la metafora dell’inclusione, e nessuno si sente escluso dal teatro in cucina di Annamaria. Tutti insieme appassionatamente ad ascoltare la storia che ha per protagonista la ‘frittata di cipolle’. Petalo a petalo, il profumo di cipolle tagliate e poi soffritte si espande tra spettatrici e spettatori, il suono delle uova sbattute, lo sfrigolio e il vapore dell’olio riscaldato, stimolano i sensi di noi partecipi della festa, e ci fanno ridere, piangere, emozionare, pensare, rimare intonati! Perché la cipolla è una poesia. Parola di Pablo Neruda, che alla cipolla dedica un’Ode:

Cipolla, anfora di luce,
petalo a petalo
si formò la tua bellezza,
squame di cristallo ti crebbero
e nel segreto della scura terra
s’arrotondò il tuo ventre di rugiada.
Sotto la terra
fu miracolo
e quando apparve
il tuo grezzo stelo verde,
e nacquero
le tue foglie nell’orto quali spade,
la terra accumulò il suo potere
rivelando la tua nuda trasparenza,
e come in Afrodite il mar antico
duplicò la magnolia
innalzando i suoi seni,
così ti fece,
cipolla,
chiara come un pianeta,
e fatta per
brillare,
costellazione costante,
rotonda rosa d’acqua,
sopra
la tavola
della povera gente.Generosa
disfi
la tua sfera di freschezza
nella consumazione
furente della pentola,
e la parete di cristallo
al calor dell’olio
si trasforma in riccioli di penna d’oro.
Anche ricorderò come feconda
la tua forza l’amor dell’insalata,
e sembra che il cielo contribuisca
dandoti fine foggia di grandine
a celebrare la tua trasparenza sminuzzata
sugli emisferi di un pomodoro.
Ma alla portata delle mani del popolo,
innaffiata d’olio,
spolverata
con un po’ di sale,
uccidi la fame
dell’operaio nella dura strada.
Stella dei poveri,
fata madrina
avvolta
in delicata
foglia, esci dal suolo,
eterna, intatta, pura
come semenza d’astri,
e nel tagliarti
il coltello in cucina
sale l’unica lacrima
senza pena.
Ci hai fatto piangere senza dolore.
Io ho cantato quanto esiste, cipolla,
ma per me tu sei
più bella di un uccello
dalle penne luminose,
sei per i miei occhi
globo celeste, di platino coppa,
ferma danza
di candido anemone,
e vive la fragranza della terra
nella tua natura di cristallo.

Il sunto dello spettacolo, lo trovo in un mantra ideato dall’autrice: ‘Basta una frittata per essere felici, molto presto sarà con gli amici’. Concludo questo pellegrinaggio sulle orme dell’Artusi, accompagnato dagli aromi ricreati dall’autrice ideatrice di uno spettacolo che vorrei rivedere presto, con le parole che inneggiano all’idiozia della perfezione cipollina scritte dalla grandissima Wislawa Szymborska:

La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.