Passaparola

Passaparola

Febbraio 25, 2024 0 Di Marta Cerù

Sabato pomeriggio. Entro nella libreria di quartiere, Passaparola, alla ricerca del Sorcio Secco e della sua espressione ‘nun me quadra’. L’ho ricevuta in dono ieri sera da Greg in persona, dopo un concerto con uno dei suoi quattordici gruppi, “The five Freshmen”.

Dopo la cena concerto all’Elegance Jazz Café, grazie ad Elena che insegue Greg da una vita, mi capita di salutare Claudio Greg Gregori a fine serata. E lui cattura la mia attenzione parlando del suo nuovo libro “Il mio nome è Sorcio Secco” (Baldini & Castoldi), in cui ha deciso di raccontare la vita di uno dei suoi pupazzi ormai famosi, il Sorcio Secco appunto. Il breve scambio mi ha messo in mano un caleidoscopio. Punto l’occhio e come giro giro escono fuori composizioni geniali: Fumettista; Musicista; Comico; Compositore tra note e parole; Cantante; Davanti o dietro le quinte, questo artista variegato ne ha inventate mille e una di più, sia assieme al compagno Lillo che in solitaria, o accompagnandosi a gruppi musicali dedicati a esplorare i generi più svariati. Ieri sera lo spettacolo ci ha immersi nel tempo dello swing, da Frank Sinatra a Dean Martin. E le canzoni erano intervallata da notizie curiose alla Greg su millepiedi, elefanti, coccinelle e tecniche di conversazione per una cena!

Entro in libreria, dicevo, per cercare un libro che non trovo. Il Sorcio Secco è altrove, ma posso uscire a mani vuote? Mi aggiro spaesata. Silenzio, mi dico. Mettiti in ascolto delle voci che dai libri ti chiamano. Mi arriva l’eco di una monaca benedettina, citata da Eugenio Borgna nel suo “In ascolto del silenzio” (Einaudi) Lei si chiamava madre Anna Maria Cànopi e l’autore ne parla con nostalgia citando una delle sue poesie: ‘(…) È dolce patire la sera/ del tempo/ come una ferita/ nel cuore/ che avanza/ verso l’aurora eterna’. Trovo tra questi versi la parola aurora, che mi porta alle mie albe e al collage che ne voglio ricavare: aurora-alba-sorgere del sole-che disastro cercare nella memoria parole che non affiorano quando il sole accenna a illuminare i nostri pensieri, ma ci sentiamo sperduti nel limbo dei sogni. Tra la cattura e la perdita. Tra perdere qualcosa per sempre e riuscire ad afferrare un blando senso aggrappandosi alla punta dell’iceberg. Sai che sotto ci sono parole, ma arrivano quelle non richieste e si impongono come porte chiuse di cui non hai le chiavi. 

Disastro è una parola versatile e ambivalente. Anche lei mi giunge in libreria grazie a un libretto rosso, di Graziano Graziani, “Planimetria sentimentale del disastro” (Tic Edizioni). Apparentemente un trattato sui disastri tellurici, vulcanici, alluvionali, terreni, cosmici, ma oltre la metafora c’è il disastro del rapporto sentimentale, nelle evoluzioni e nelle scosse che si trova ad attraversare. Il disastro interplanetario è l’incontro di due corpi, il mio e il tuo, ‘l’esplosione spettacolare che non finisce di stupire. Quella che prende ogni singolo atomo e ne scinde le parti, che trancia via di netto i ponti di cui è fatta la grammatica molecolare. L’energia che fa vibrare la materia del mio corpo come vibra il cosmo. Come vibra il tuo.

Mentre leggo, penso che l’idea di Graziano Graziani potrebbe risultare disastrosa, creare conseguenze imprevedibili, eppure proviene dal percepirsi un tutt’uno, non separati, connessi atomo per atomo, particella per particella, stessi componenti a formare vita organica e materia inorganica. È una visione naïf di questi tempi? E la parola mi arriva in soccorso dal piccolo volume di Roberto Carvelli: “La rivincita dei naïf”: 

‘Il naïf è una persona vera. Una persona che sente di essere legata all’universo. Nella sua totalità. Non al mondo segmentato degli interessi, delle convenzioni’. Questo breve ma accorato ‘Piccolo appello in difesa della semplicità’ mi mette in pace con la mia ricerca balzana. Addentrarmi in questo atto di difesa del naïf è perdermi dentro l’essere chi eravamo prima di essere diventati. Volevo un libro su un sorcio che non c’è. Allora ho chiesto un altro libro sugli alberi, lo possedevo, l’ho regalato e volevo ritrovarlo. “Il sussurro degli alberi” di Tiziano Fratus (Ediciclo Editore) è parte di una collana magnifica intitolata “Piccola filosofia del viaggio”.

La libreria Passaparola ha tanti volumetti di questa serie in un espositore trasparente, ma quello sugli alberi è terminato. Forse è il caso che prenda tutti quelli che restano, mi dico. Per avventurarmi tra le parole della filosofia, del viaggio e del rapporto con la natura, di scrittori italiani e non. Parole come pioggia, alberi, cavalcare, anima, giro del mondo, viaggio delle donne, pace interiore e, appunto, naïf. 

Arrivo così a “Il sogno del giro del mondo”, di Romain Tuilier, che racconta del kairos, quel momento particolare che crea uno strappo sulla tela del tempo. L’autore cita il kairos il dio dei greci nume tutelare di un viaggio capace di cogliere al volo le occasioni. La sua idea del giro del mondo ‘implica un itinerario d’insieme che sarebbe inutile voler prestabilire in tutti i dettagli’. L’attesa del viaggio, la preparazione, mi riportano a un tomo ben più grande e denso di parole. “L’invenzione della natura” (Luiss University Press), che avevo iniziato da qualche giorno e che ritrovo sul comodino tornata ormai a casa. È la biografia completa di un esploratore della natura, Alexander Von Humboldt, ‘l’eroe perduto della scienza’, colui che ha inventato la natura, o meglio il modo di concepire la natura che ancora oggi caratterizza le scienze naturali. 

Avevo conosciuto Andrea Wulf a Plpl2023, (dove presentava il suo nuovo libro “I giovani ribelli”- Luiss University Press). E grazie a lei la biografia di un giovane a cavallo tra Settecento e Ottocento, che ha vissuto il viaggio come esploratore della natura, precursore di Darwin e suo gemello meno conosciuto. Ritrovo il carattere del naïf e tutto torna, torna tutto quando si cerca anche senza sapere cosa. Perché cosa sarà mai il Sorcio Secco? Cosa avrà da dirmi un calzino parlante espressione del dubbio fumantino, quel ‘nun me quadra’ che è una spinta, un impulso, da lì in poi sta a noi allertare i sensi e rimanere in ascolto?

L’ascolto chiude cerchio, quello di un’altra voce che mi ha sussurrato dalla pagine del volume “Chi dice chi tace” (Sellerio Editore) di Chiara Valerio. La voce è fuori dal coro, in un paese come Scauri, dove il coro è onnipresente. E la scrittura narrativa della Valerio si fa partitura coreutica, voci e narrazioni si intonano dissonando, senza pause, volute o cercate. L’unica pausa è la morte, forse.

Quella che crea lo squarcio nel tempo, e spinge la protagonista a sbucciare la realtà, per addentrarsi, velo dopo velo, nel cuore della cipolla. Lancio la palla a chi mi legge, perché Chiara Valerio non si può non ascoltare, non leggere. È un faro in questi tempi cupi. Una lanterna da seguire. Una lingua nuova per orientare la bussola. Quell’ago che lei riesce così bene a seguire per dirigere la mente verso l’unione armonica tra il metodo della matematica e il linguaggio della letteratura.