Vita SuperNova – Occhi

Vita SuperNova – Occhi

Ottobre 18, 2021 0 Di Marta Cerù

Esco dal Salone Internazionale del Libro 2021 con un velo di tristezza negli occhi, fino a poco fa sorridenti. Da una parte l’ultimo scorcio di sole rosso dietro la struttura dell’area Oval, dall’altra una luna che emerge dietro le immagini simbolo di questa rinascita di una Vita Supernova: “Una XXXIII edizione straordinaria, la prima in presenza nel post-pandemia e la prima in versione autunnale”. La gratitudine che provo è però immensa, per essere riuscita a partecipare, anche se solo per due giorni, nei quali il tempo si è dilatato, quasi fermato, permettendomi di ascoltare lettere e parole e di navigare tra le onde, passando da una barchetta di carta all’altra. Sono grata, nel momento del mio commiato (il Salone continua anche lunedì ma io non potrò esserci), per l’ultima parola che ho accolto, donatami da una donna che cura le parole di chi scrive, dagli albori della costruzione del libro, come editor, al suo varo nel mare delle librerie, come ufficio stampa della casa editrice La Corte. 

“Siamo tornati a guardarci negli occhi”, mi dice, “è questa la mia parola: occhi. D’altra parte, proprio a causa della mascherina, è solo attraverso gli occhi che possiamo comunicare, dialogare. Lei è Giovanna Burzio e mi racconta di come è nato il libro che ha ideato e curato per La Corte, dal titolo “Bookinfluencer. Chi parla di libri e dove trovarli”. L’idea è nata nel fermo della pandemia: creare una guida dove dare spazio alle voci di coloro che i libri aiutano a venderli davvero. Ma soprattutto a farli leggere, perché li leggono e li consigliano con passione e competenza, spostando i numeri, ormai molto più di quanto possano fare le recensioni sulla carta stampata. C’è curiosità, attenzione, ascolto, accoglienza, cura, negli occhi della Burzio, una esploratrice di Vite SuperNove, come quelle di chi per passione legge libri e li consiglia scrivendone, passando parole come testimoni.

E c’è soprattutto il sorriso, penso io, associando il suo a quello di un’altra donna che fa il suo stesso lavoro, ma in un’altra casa editrice. Debora Pisano, dall’ufficio stampa di Fazi Editore, mi aveva regalato ieri la parola sorriso, quello che passa anche attraverso gli occhi, anche quando nascosto dietro la mascherina. Non lo vedi, mascherato, ma lo senti arrivare dallo sguardo, che non è più sfuggente. Fazi e La Corte sono vicine nell’Oval (l’area più nuova del Salone), e lo sono anche nel mio cuore di lettrice. Sia per i libri che propongono, che per l’entusiasmo, di coloro che ci lavorano. Mi piace anche il senso di comunità che alberga tra le scrittrici e gli scrittori di entrambe le case.  

Quanti occhi ho incontrato in questi due giorni trascorsi dalla mattina alla sera nel salone? Due, quattro, sei, otto, dieci… un numero doppio tendente all’infinito, di occhi grati, stupiti, allegri, intenti, distratti. Occhi che mi hanno parlato da un palco, laggiù, dietro un microfono, voci dagli occhi che scrivono o che lavorano per questi oggetti di carta che chiamiamo libri. Occhi specchio dei miei, occhi vicini, occhi lontani, lontani nel tempo e nello spazio, ma inconfondibili nel ritrovarsi, dopo giorni, mesi, anni, perché attraverso gli occhi scompare il senso del tempo, il tempo si ferma, forse un po’ come in un buco nero. Di buchi neri ho ascoltato parlare Guido Tonelli, nella lezione sulla rottura del paradigma del tempo, era un incontro in cui il fisico spiegava il contenuto del suo libro dal titolo “Tempo. Il sogno di uccidere Chrónos”, edito da Feltrinelli. È il secondo volume dopo quello intitolato “Genesi”. Ne seguirà un terzo, annuncia alla platea Tonelli, ma il titolo è ancora un segreto. Mentre “Genesi” parlava dei primi istanti di vita dell’Universo, “Tempo” cerca di scavare nel significato di questo concetto che ci forma e ci pervade, nell’ambito della fisica moderna.

Tempo è la parola che ha scandito una giornata iniziata scrivendo e che termina scrivendo. Dalla fine un inizio che prelude alla fine. E così via, un ciclo dopo l’altro, un Salone dopo l’altro, come se si vivesse per sempre. Eppure noi, la nostra specie, con il tempo dobbiamo farci i conti, sappiamo di non averne infinito, di non poterlo fermare, rallentare. Oppure no? Il senso del tempo l’avevo perso stamattina, confondendo orari e incontri previsti dal programma ogni giorno densissimo, quelli di ieri scambiati per oggi. Avevo scoperto, in arrivo al Salone, che l’incontro con Piergiorgio Odifreddi, che presentava il libro “Einstein per perplessi” di Castelvecchi, era già stato ieri. L’avevo mancato, nella sala blu c’era già oggi qualcun altro, a raccontare un’altra storia.

Sono entrata nel Salone un po’ triste per questa svista e mi sono diretta verso gli amici di Genius scuola di scrittura, Paolo Restuccia, Luigi Annibaldi, Lucia Pappalardo, Loredana Germani, Massimiliano Ciarrocca, per ascoltare cosa avevano da dire sulla vergogna. Quella di chi scrive, raccontata da coloro che si sforzano di dialogare con quella vergogna, di trovare il giusto equilibrio perché la vergogna non diventi un blocco dello scrittore o della scrittrice. Il loro entusiasmo coraggioso e contagioso mi ha dato la carica per ripartire e dirigermi ad ascoltare la scienziata e senatrice Elena Cattaneo, che dialogava con il fisico Federico Ronchetti. L’argomento a cuore dei due scienziati era l’importanza di essere armati di scienza, nel senso del titolo del libro della Cattaneo, “Armati di scienza”, per Raffaello Cortina Editore . Mentre pensavo che forse in questo titolo si nasconde un imperativo (seconda persona singolare), ho notato la dedica dell’autrice, a Pietro e Rossella.

Pietro Greco e Rossella Panarese mi hanno parlato attraverso le parole di Elena Cattaneo. I loro occhi che non posso più incontrare sono stati i fari della mia formazione, in quel mondo speciale che è stato per me il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. E così, in quella Sala Rossa, il tempo mi ha recuperata in una delle sue maglie, permettendomi di incontrare sia la loro memoria, che anche, quasi per incanto, il Professor Piergiorgio Odifreddi, che ho notato seduto a poca distanza da dove avevo trovato posto. Con la sua consueta attitudine alla provocazione, mi ha fatta tornare con i piedi per terra, dalla mia posizione sempre troppo svolazzante tra le onde delle emozioni, dicendomi che in fondo in queste occasioni, che siano Saloni o Fiere, o Festival, i libri non sono altro che oggetti di carta, da vendere e comprare, che non vuol dire poi leggere. Perché purtroppo chi ancora legge fa parte di una minoranza sempre più esigua.

La domanda che avrei voluto fargli mi è arrivata solo a fine giornata. Ma allora perché lei continua a scrivere libri? E forse posso provare a immaginare una sua risposta, mettendomi nei panni del logico matematico. Anche per lui, forse, il bisogno di scrivere non può che venire da quell’urgenza che si prova quando una storia chiama, vuole essere raccontata, con le parole adatte, con il giusto peso, tale da squilibrare chi legge, quel tanto che basta per impegnarlo a pensare, perché solo così troverà un nuovo equilibrio, più consapevole forse, soprattutto quando si tratta di una storia della scienza. E poi, non sembra proprio che i lettori siano così pochi, a giudicare dai numeri dell’afflusso di persone in questo Salone Internazionale del Libro 2021, che rinasce fuori stagione, a Vita Supernova, accogliendo centocinquantamila visitatori! Questi miei pochi e veloci paragrafi vogliono essere una postfazione del mio tempo al Lingotto, ma anche una prefazione alle mie cronache, che arriveranno, una per ogni parola catturata, agganciate ai libri che mi hanno scelta. Arriveranno da qui in poi, con la giusta calma, quella necessaria alla lettura, prima ancora che alla scrittura… Stay tuned…