Garguglia

Garguglia

Aprile 16, 2019 0 Di Marta Cerù

Parigi brucia e rimaniamo in silenzio senza poter far nulla. Guardiamo le fiamme sempre più alte distruggere, erodere, incenerire guglie, inghiottire garguglie dall’aspetto di serpenti, draghi, mostri benevoli pensati per mascherare canali di scolo delle acque piovane, gole per inghiottire l’acqua e ora attraversate dal fuoco: sculture di pietra simbolo del diverso che si eleva verso il cielo.
Parigi, inizio e fine di storie, di amori, di movimenti di pensiero, di rivoluzioni, di cultura, di bellezza che colpisce al cuore e lascia storditi, come l’immagine di Philippe Petit che si sdraia sul filo teso, in sospensione tra le due torri della Cattedrale di Notre Dame, simbolo dell’anima francese.

La parola gargouille (garguglia in italiano) mi sveglia al mattino, pietra che accoglie acqua, necessaria stanotte per spegnere l’incendio e salvare un simbolo di bellezza e di mistero. Nel mio piccolo cerco di salvare i ricordi, dei passaggi in Francia, nell’Ile de la Cité. La prima volta avevo diciassette anni, ero in quinta liceo, gita scolastica, ragazzina timidamente affacciata tra le facce di animali con le fauci aperte, ma che non facevano paura. Ero assieme alle amiche, quelle che vedevo belle, più disinvolte, e la più bella, l’amica che veniva a trovarmi a casa in sella alla sua Vespa bianca, parla in francese con un ragazzo conosciuto li, proprio lì, sul tetto della Cattedrale, li vedo vicini e irraggiungibili, a toccare un cielo più grigio e più intenso di quello al quale ero abituata. Ci sono tornata con il primo amore, a scoprire una città invernale, in transito da un anno all’altro, Capodanno a Parigi, soli ma insieme. E poi altre volte, di passaggio, nei viaggi di ragazza. Infine con Breon, nella nostra primavera, noi due che ci promettiamo di durare per sempre, accettando le nostre imperfezioni, lui un insicuro americano a Parigi, io ancora convinta che mi mancasse una metà per essere davvero intera. Camminiamo e arriviamo a Notre Dame, come da copione, mano nella mano, saliamo in cima a mettere i nostri mostri in compagnia di quelli di pietra, a vedere Parigi insieme a loro.

Rivedo quell’immagine di noi due e penso all’ultimo libro di Massimo Recalcati, “Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore” (Feltrinelli), alle frasi sulla durata dell’amore, sulla promessa, sul per sempre dell’innamoramento: “È un fatto: l’incontro d’amore spinge gli amanti a non accontentarsi della contingenza dell’incontro, li spinge verso la traduzione della contingenza in necessità, del caso in un destino, li spinge, diciamolo nella forma più chiara, a volere che sia per sempre. L’amore non si accontenta dell’istante – non si accontenta di bruciare – ma vuole durare”.

Notre Dame brucia e con lei ricordi ormai sfocati che forse non riuscirò a portare a galla, nitidi come un tempo. Sono tanti anni che non ci torno, l’ultima volta era il 1999, per tanto tempo mi sono accorta di avere quasi paura di tornare nella città degli innamorati. E ora, come di fronte a ogni lutto, ci si trova soli, piccoli, a pensare alla nostra piccolezza che dà per scontata la bellezza, le opere insostituibili che andrebbero protette, sempre, a ogni costo.
Le immagini dell’incendio mi svegliano all’alba, priva del richiamo della parola giusta, solo il suono gutturale che attraversa le gole delle gargouille e infonde speranza che l’acqua riesca nell’impresa di spegnere il fuoco, le fiamme e rianimare il cuore di una città, fermo, attonito.
I miei figli non vedranno il mondo nel quale sono cresciuta, cosa resterà per loro?
Cosa è una guglia? Cosa una garguglia?
Una punta e una gola. Un tendere verso il cielo partendo dal basso e un volto mostruoso a mascherare il canale, utile a riportare nelle profondità della terra l’acqua così preziosa alla vita. Più la base è larga, solida, sommersa ma ancorata, più la guglia si alza, si assottiglia e scompare nell’altezza tra le nuvole. E attorno, le fauci e le gole di animali fantastici accompagnano quella tensione al sollevamento, quel tendere alle nuvole che ci innalza dalla nostra piccola materialità: piccoli, veri, con i piedi per terra e lo sguardo lassù, verso la bellezza che è anche in noi, siamo noi quelle garguglie da salvare, noi con gli sguardi al cielo e le fauci spalancate e incredule.